Pur privo del fascino di certe annate davvero cool di fine anni '60, il 1974 fu uno snodo importante sotto molteplici aspetti: posto quasi alla metà di un decennio che definire tumultuoso è poco, è stato un anno di eventi sociali e politici rilevanti (legge sul divorzio, crisi economica e terrorismo in Italia, ma è anche l'anno del Watergate oltreoceano) a cui la musica non poteva rimanere impermeabile.
Una sempre maggiore coscienza politica e la voglia di ampliare propri orizzonti sonori fanno sì che la sbornia progressive del biennio precedente vada esaurendosi, per lasciare spazio a nuove istanze musicali ed estetiche che si sarebbero consolidate negli anni successivi.
Per tranquillizzare tutti, ricordiamo che comunque Sanremo 1974 vide sul podio Iva Zanicchi, Domenico Modugno e Orietta Berti.
Nono capitolo della discografia, apprezzato molto anche all'estero, "Anima latina" è il meno "battistiano" degli album di Lucio Battisti, un disco in cui non troverete nessuno dei grandi classici (e neanche uno di quelli minori). Nonostante questo, è un'opera che disvela ancora meglio il talento e il genio musicale dell'artista, in grado qui di sfuggire ad ogni etichetta per regalarci musica priva di barriere e confini.
È l'album che segue il deflagrante debutto "Arbeit Macht Frei", risultando ancora più spiazzante e corrosivo. Da "Cometa rossa" a "Lobotomia", si viene travolti da una valanga sonora fatta jazz-rock, world music, elettronica, poesia e improvvisazioni che lascia senza fiato. Gli Area non sono interessati ad un facile consenso e lo ribadiscono con il loro disco più ostico e disturbante.
Quarto album della band, fu affiancato all'epoca dall'uscita della versione in inglese intitolata "The World Became the World" pubblicazione decisiva per la fama internazionale del gruppo. "L'isola di niente" è il primo disco con il bassista Patrick Djivas (proveniente dagli Area) e fonde mirabilmente l'allora in voga progressive di ispirazione britannica e suoni di matrice mediterranea.
Disco che alla fine del 1974 troveremo nella top 10 di fine anno: il successo travolgente del brano omonimo, posto in apertura dell'album, valse a Claudio Baglioni anche la vittoria al Festivalbar. Ma a colpire nel segno è la modernità (al tempo) del suono di tutte le canzoni, indubbiamente merito anche della presenza di Vangelis in veste di arrangiatore.
Uscito nel dopo il grande successo di "Pazza idea" (1973), questo disco portò di nuovo Patty Pravo in vetta alla hit parade della musica italiana, mantenendo la posizione per due mesi e risultando il terzo album più venduto dell'anno. Tra i musicisti coinvolti nelle sessions di registrazione dei brani, troviamo gli allora emergenti Alberto Camerini e Roberto Colombo.
Formazione nata nei primi '70 da un'idea del contrabbassista Giovanni Tommaso, Il Perigeo giunge con “Genealogia” al terzo album, considerato da molti come uno tra i più brillanti del quintetto e uno dei grandi classici del prog-rock italiano, pur contenendo evidenti riferimenti al jazz e alla allora emergente musica fusion. La tracklist include "Via Beato Angelico" probabilmente il loro brano più noto.
"Invenzioni" è il secondo album di Renato Zero ed è l'opera con cui il cantautore romano comincia ad imporsi tra il pubblico e sulla critica. Nel disco vengono trattati temi duri e scottanti, soprattutto per l’epoca, come la pedofilia (“Qualcuno mi renda l’anima”) o l’emarginazione e l’incomunicabilità in “Mani” e “Depresso”. Diretto, provocatorio e prologo della zerofollia in arrivo.
Pubblicato per la mai troppo lodata CRAMPS Records di Gianni Sassi, è un esordio di quelli fulminanti: i membri della band mettono la loro tecnica, decisamente fuori dall'ordinario, a disposizione di composizioni sempre magistralmente in bilico tra progressive e jazz, mostrando di potersi ispirare ai maestri d'oltremanica (King Crimson e Mahavishnu Orchestra su tutti) e rielaborarne la lezione. Produce Paolo Tofani, chitarrista (e molto altro) degli Area.
La band romana rappresenta il lato soft della musica progressive, artefice di un sound dolce e magnetico caratterizzato dell'uso prevalente di strumenti acustici e percussioni ridotte all'osso. Aggiungendo un tocco di avanguardia, il piatto dei Pierrot Lunaire è pronto, parecchio gustoso e da assaporare prendendosi tutto il tempo necessario.
Il cantautore romano, qui a terzo disco, riduce la strumentazione all'essenziale (voce, chitarra e poco altro) dedicandosi alla composizione di brani molto intensi e personali. Troppo ermetico per alcuni, capolavoro per altri, è comunque un album dal quale lasciarsi trasportare, tenendo a mente il titolo della splendida canzone che apre l'album: "Niente da capire".
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