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Pablo Escobar: tra fiction e realtà

Illustrazione digitale di Francesco Vercesi, 2023, studente del Triennio in Nuove Tecnologie dell’Arte all’Accademia di Brera di Milano

Illustrazione digitale di Francesco Vercesi, 2023, studente del Triennio in Nuove Tecnologie dell’Arte all’Accademia di Brera di Milano

Plata o plomo: i fan di Narcos, e non solo loro, riconosceranno la paternità di queste parole.

È quel che accade quando il personaggio prende il sopravvento sulla persona. È quel che è accaduto a Pablo Escobar, ancor prima della serie Netflix, ancor prima di morire il 2 dicembre 1993 sotto i colpi della polizia nazionale colombiana.

A Medellín, la città che ha visto la nascita dell’organizzazione di narcotraffico più potente al mondo, era un dio:

A veces yo soy Dios, si digo que un hombre muere, muere el mismo día.
A volte sono Dio: se dico che un uomo morirà, quell’uomo muore quello stesso giorno.

Un dio sterminatore, responsabile di sequestri, omicidi, stragi con autobombe, ma anche un eroe e un benefattore agli occhi della fascia più povera della popolazione della città in cui El Patrón - uno dei suoi tanti soprannomi - costruì scuole e ospedali.

Al suo funerale presenziarono migliaia di persone - pare fossero ventimila. Molti c’erano per accertarsi che l’incubo fosse davvero finito. Molti altri per piangere il Robin Hood - così lo definì una rivista colombiana - che aveva costruito una fortuna sui vizi dei ricchi occidentali per dare ai poveri della sua città.

Aerei privati, sottomarini, ville, container che custodiscono centinaia di milioni di dollari - ce ne sono ancora molti sepolti nelle piantagioni colombiane. Persino una prigione privata, La Catedral, che Escobar fece progettare e costruire quando si costituì al governo colombiano. Più che una prigione era un buen retiro: sala biliardo, idromassaggio, campo da calcio, guardie private scelte da Escobar stesso, perché l’accordo con il governo prevedeva che le forze armate si mantenessero a 3km di distanza.

Non ci volle molto a rinominarla Hotel Escobar e Club Medellín. Una fortezza inespugnabile voluta da Pablo più per proteggersi da attentati di cartelli nemici, pare, che per trascorrere i cinque anni di reclusione. Tanto che, da lì, evase.

E qui, è la realtà che si fa leggenda.
Il personaggio che ci raccontano i libri, i film, le canzoni e le serie tv è carismatico, seducente e allo stesso tempo glaciale. Il Pablo di Narcos indossa maglioncini color pastello che ne addolciscono i tratti, soprattutto quelli sanguinari. Vediamo il padre premuroso con i figli, l’uomo dalle umili origini con il sogno di cambiare il proprio destino e la determinazione nel farlo. Quando lo ritroviamo a scappare sui tetti braccato dalle forze armate, e lo vediamo accasciarsi sotto i colpi d’arma da fuoco, siamo dispiaciuti.

Dispiaciuti e sgomenti perché il personaggio morente è ispirato a una persona che nella vita reale ha provocato una strage di civili e militari e ha piegato la reputazione di un Paese a livello internazionale. Come ritrovare un equilibrio tra la realtà dei fatti e il carisma del personaggio? Le storie hanno anche il compito di metterci in una posizione scomoda, di porci domande scomode.

Quel che possiamo e dobbiamo fare noi - lettori, spettatori, ascoltatori - è saper distinguere la fiction dalla realtà.

Serie tv come Narcos o Gomorra attingono a piene mani dalla realtà per raccontare il lato oscuro del potere. Ma non sono resoconti puntuali di ciò che accadde. All’inizio della serie Netflix compare questo disclaimer: La serie si basa su fatti veri. Certi elementi sono stati cambiati a fini drammatici. Ogni somiglianza con nomi e fatti reali è casuale.

L’obiettivo di Narcos, del film Blow o delle interpretazioni di Benicio del Toro e Javier Bardem nei panni di Escobar non è quello di fare cronaca. Diverso l’intento di Gabriel García Márquez, che nel libro Notizia di un sequestro racconta del rapimento di dieci persone da parte di un gruppo di narcotrafficanti guidati da Escobar stesso. Márquez, che iniziò come giornalista e poi si dedicò alla letteratura, incontrò una delle vittime,  si documentò per anni e scrisse un reportage godibile come un romanzo.

Il confine tra realtà e immaginazione, tra fiction e cronaca a volte è labile. Del resto, come suggerisce la prima puntata di Narcos

Il realismo magico si verifica quando in un’ambientazione realistica e minuziosamente dettagliata s’introduce un elemento troppo strano per essere credibile. Non per niente il realismo magico è nato in Colombia.

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