All'epoca, gli altri vedevano in bianco e nero, ma io sognavo a colori
Sergio Zavoli, scomparso il 4 agosto 2020, avrebbe compiuto cento anni, e con lui la sua televisione, il suo modo di fare inchiesta, il suo modo di fare informazione, mai banale né facile, ma pieno di significato. Lavorava con la tv dal 1948, quando ancora si vedeva, in quella scatola quasi magica, un potenziale enorme: quello di arrivare lontano, a quante più persone possibile, con una qualità che a oggi, a noi, sembra impareggiabile. È inutile e anzi controproducente fare paragoni tra epoche diverse per così tante ragioni, soprattutto quando nella nostra vige l’immediatezza – che non è un male, né un bene –, mentre in quella di Zavoli il punto era fare una buona informazione.
Le poesie raccolte in questa antologia sono frutto della scelta personale compiuta da Sergio Zavoli negli ultimi anni della sua vita, e rappresentano quanto l’autore ha ritenuto essere il frutto migliore delle sue opere, tutte pubblicate da Mondadori.
Il che non significava non cogliere l’immediato della storia, dei processi sociali e politici, ma significava semmai essere capaci, in seconda battuta e con la competenza del giornalista, di mediarlo. Sergio Zavoli era capace di farlo, di mediare attraverso il suo sguardo il mondo che lo circondava, ma non per dargli un taglio soggettivo e personalistico, tutt’altro: perché quel mondo lì, quel racconto delle cose, aveva uno scopo da raggiungere, che era poi il bene comune.
Il mondo non è fatto di primi, vincitori e vincenti, ma di secondi, terzi, ultimi, di gente che arriva fuori tempo massimo pur sputando sangue
Così raccontò il Giro d’Italia nel suo Processo, il giro che nessuno conosceva, delle persone che lo corrono, non dei campioni. Andò a scavare anche nella storia italiana, in quella del fascismo con Nascita di una dittatura del 1972 e con La notte della Repubblica del’89. Un’inchiesta, questa, destinata ad avere una risonanza enorme, con le voci e i volti dei terroristi che hanno segnato l’Italia degli anni di piombo. La grande e forse impossibile missione di Zavoli era di far conoscere alle persone qualcosa attraverso il mezzo che sembrava il più potente al mondo. Sapeva di avere per le mani un potere enorme e sapeva anche di saperlo usare: lui l’ha fatto per il bene, per l’informazione, e ci ha provato fino alla fine.
Come direttore della Rai ha vissuto il periodo di più grande cambiamento, in cui un’emittente televisiva poneva una sfida che non è mai stata accettata. Di questo si rammaricò sempre, sostenendo che quella poteva essere l’occasione per rendere il servizio pubblico qualitativamente ancora più alto e impegnato, ma restò inascoltato. Entrato in politica si rese poi conto delle dinamiche che sono fuori dalla sua portata: altri si erano accorti del potere della televisione e non erano intenzionati a demordere. Per un intellettuale come lui, quella prova fu troppo, la sua televisione, lo spirito con cui aveva messo in piedi una carriera e una vita sono scomparsi. Se ne andrà dopo cinque anni nella Commissione Vigilanza Rai, forse un po’ sconfitto, ma ancora capace di fare scuola a chiunque voglia cimentarsi con la sfida della buona informazione al servizio della gente.
Di
| Mondadori, 2013Di
| Rai Libri, 2014Di
| Garzanti, 2005Di
| Vita e Pensiero, 2021Di
| Marsilio, 2019Di
| Carocci, 2014Di
| Laterza, 2000Di
| Marsilio, 2021Di
| Carocci, 2004Di
| Il Saggiatore, 2019Di
| Laterza, 2011Di
| Bollati Boringhieri, 2013Ti potrebbero interessare
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