Abbiamo un paese che è di parole. E tu parla che io possa fondare la mia strada su pietra di pietra. Abbiamo un paese che è di parole, e tu parla, così da conoscere dove abbia termine un viaggio.
Per introdurci nell'universo letterario palestinese, è utile conoscere, attraverso qualche testo di riferimento, la lunga e complessa vicenda di un popolo che vede il 1948 come anno tragicamente discriminante della propria storia. Ecco proposti dei testi che si occupano della millenaria epopea del popolo palestinese e altri che affrontano il tema cruciale: il conflitto infinito con Israele, che ancora oggi ci appare privo di fondate speranze di soluzione e che rappresenta una vera polveriera per gran parte dei rapporti internazionali.
Volete farvi un’idea? Qui trovate i titoli in commercio di autori palestinesi, per scegliere qualche titolo da cui iniziare, e leggere una breve storia della letteratura di quella nazione
Storia della Palestina di Giancarlo Lannutti racconta la storia del popolo della Palestina dalle origini richiamate nella Bibbia ai giorni nostri. Lo studio si concentra con particolare attenzione sulla storia recente, e cioè dal 1948 al drammatico conflitto in corso fra Israele e Autorità Nazionale Palestinese che allontana la pace e la ormai non più rinviabile costituzione del nuovo Stato di Palestina. Scritto con taglio giornalistico da un esperto dei problemi mediorientali, questo libro è un contributo alla conoscenza dei problemi e delle tensioni in uno degli snodi geopolitici decisivi per la pace e gli equilibri mondiali. Un libro per conoscere la storia ma anche per approfondire la drammatica attualità del conflitto fra Israele e Palestina.
Storia del conflitto arabo israeliano palestinese. Tra dialoghi di pace e monologhi di guerra di Giovanni Codovini è una chiara e obiettiva ricostruzione delle vicende storico-politiche, sociali, economiche, religiose e culturali che hanno scosso la Palestina dalla fine del XIX secolo ai nostri giorni: da una parte la tormentata nascita dello Stato di Israele, preceduta dal diffondersi dell'ideale sionista e dai pionieristici insediamenti dei coloni nella terra dei propri antenati; dall'altra, l'affermarsi di un nazionalismo arabo e di una coscienza politica palestinese, fino alla fondazione del primo Stato palestinese. Un ricco apparato di documentazione (tra cui, per esempio, tutti i testi dei trattati di pace, dei quali si è persa memoria) e approfondimento fa di questo libro uno strumento indispensabile per comprendere una delle aree più "calde" del mondo e riuscire a ricostruire le posizioni delle diverse parti in causa. Un'edizione aggiornata agli avvenimenti più recenti di un libro enormemente apprezzato per la grande quantità di documentazione fornita.
Palestina. La storia incompiuta. La tragedia arabo-israeliana di Shlomo Ben-Ami, ministro degli Esteri di Israele durante i negoziati di Camp David, promossi dal presidente americano Clinton per la soluzione della questione palestinese. Ma non crede che il fallimento di quel tentativo debba essere attribuito esclusivamente alla imprevidenza e all'estremismo di Yasser Arafat. Clinton, scrive Shlomo Ben-Ami, "non fu capace di sensibilizzare i governi arabi [...] e non costruì solide ed efficaci fondamenta internazionali per sostenere e legittimare a livello globale il suo accordo di pace". Basterebbe questa osservazione per dimostrare che Ben-Ami non è oggi il portavoce e l'avvocato difensore della linea politica perseguita dal governo del suo Paese.
Ecco anche un'intervista fatta per Wuz da Daniela Pizzagalli all’autore
I rappresentanti della narrativa palestinese si possono dividere in due gruppi: quelli che nel 1948, alla fondazione dello stato di Israele, lasciarono il paese, dando vita alla diaspora palestinese, e quelli che restarono in Israele, diventando cittadini arabi israeliani.
Al primo gruppo appartiene il critico letterario Giabra Ibrahim Giabra (1920-1995), emigrato nel 1948 in Iraq, tanto da essere considerato uno dei più autorevoli esponenti della letteratura irachena. È autore di diversi romanzi, tra cui La nave e I pozzi di Betlemme.
A queste due categorie bisogna aggiungerne una nuova, che per anni è stata ignorata, la letteratura dei Territori occupati nel 1967, di quegli scrittori cioè che vivono in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, scrittori che non hanno nessuna nazionalità e che vivono in campi come profughi nella loro stessa terra.
Questa letteratura, nata negli anni Settanta, ha caratteristiche ben precise, e si differenzia dall’altra produzione palestinese.
Sono scrittori che vivono direttamente un’occupazione militare, e che non hanno spazio né per la fantasia né per il sogno e il contatto con gli occupanti è quotidiano.
Rappresentanti di questa nuova letteratura sono Sahar Khalifah, massima rappresentante, Gamal Bannurah, Akram Hanniyyah, Abd Allah Tayeh e Muhammad Ayyub.
Nelle loro opere troviamo oltre a tematiche palestinesi tradizionali, anche la difficile vita in un campo, la difficoltà di spostarsi, il rifiuto del sopruso, il lavoro, l’estraneità, i nuovi insediamenti e la rivolta in un tempo di guerra e non di pace.
Di Suad Amiry, ricordiamo Sharon e mia suocera. Questo libro è un piccolo gioiello perché ci descrive la situazione drammatica della "rioccupazione dei territori occupati", senza rinunciare all’ironia, uno spirito che consente di sperare. La quarta di copertina riporta un’affermazione dell’autrice che ci dà lo spirito del libro: Forse un giorno riuscirò a perdonarvi di averci tenuto sotto coprifuoco per trentaquattro giorni consecutivi, ma non riuscirò mai a mandare giù che ci abbiate costretti a vivere con mia suocera quelli che, allora, mi sono sembrati trentaquattro anni. Una donna palestinese, colta, intelligente e spiritosa, tiene un "diario di guerra".
Gli israeliani sparano ma, nella forzata reclusione fra le pareti domestiche, spara anche la madre del marito, una suocera proverbiale. In pagine scoppiettanti di humour e di lucidità politica e sentimentale, i colpi bassi di Sharon e del suo governo finiscono per fare tutt'uno con le idiosincrasie della suocera petulante, con la quale l'autrice si trova a trascorrere, in un involontario tête à tête, il tempo dell'assedio.
Ma, come la guerra, neanche l'avventura cominciata con Sharon e mia suocera finisce, ed ecco che Suad Amiry con Se questa è vita. Dalla Palestina in tempo di occupazione regala una nuova puntata del suo irresistibile diario di guerra e di vita quotidiana dai Territori occupati.
L'architetta palestinese, con lo humour che la contraddistingue, ci conduce da una stazione all'altra del calvario palestinese portandoci, con tono lieve e un lucido mix di commedia e tragedia, a scoprire i piccoli e grandi contrattempi del vivere nel devastato scenario mediorientale. Al centro del suo affresco narrativo c'è, ancora una volta, Umm Salim, l'ingombrante e svagata suocera ultranovantenne, che resiste alla brutalità dell'occupazione militare irrigidendosi su abitudini da tempi di pace, orari, buone maniere.
Un libro particolare. Nato in una situazione particolare. Una donna palestinese, colta, intelligente e spiritosa, tiene un "diario di guerra". Gli israeliani sparano ma, nella forzata reclusione fra le pareti domestiche, "spara" anche la madre del marito, una suocera proverbiale. Pubblicato in maggio in Israele, il libro è un documento che, in forza della sua freschezza, è schierato senza rinunciare al dialogo.
Tra i numerosi altri autori palestinesi della diaspora che hanno dato il proprio contributo alla narrativa contemporanea, oltre a Samira ‘Azzam (Palestinese! E altri racconti), spicca la figura di Ghassan Kanafani (1936-1972).
La vita di Kanafani può essere considerata una sintesi delle vicende palestinesi. I suoi romanzi più noti sono Uomini sotto il sole e Ritorno a Haifa. Kanafani è il più insigne rappresentante di quei palestinesi che dall'esilio hanno contribuito con la loro opera artistica (oltre che scrittore, Kanafani era anche pittore), a far conoscere gli aspetti più significativi della cultura araba contemporanea.
In Ritorno ad Haifa, Kanafani opera un parallelismo tra la sofferenza degli ebrei collegata all’immane tragedia della Shoah, con la sofferenza dei palestinesi costretti alla diaspora dopo essere stati violentemente espropriati della propria terra, della propria casa, di tutto. Un parallelismo che è raffigurato nell’incontro che avviene tra l’anziana profuga dei campi di sterminio e due palestinesi che avevano dovuto abbandonare precipitosamente la loro casa, oggi occupata dall’anziana signora, sotto l’attacco dell’esercito israeliano. In quella fuga essi hanno perso il figlio di pochi mesi che è stato poi allevato dalla coppia israeliana.
Kanafani mette in rilievo come tutti i personaggi di questa storia siano delle vittime e lo sottolinea con il massimo di drammaticità nelle parole del figlio che diventa il simbolo dell’incapacità dei due popoli, uno occupante e l’altro occupato, di dialogare. Il figlio, infatti, ha finito per fare sua la mistificazione e lo stravolgimento che è avvenuto della storia della Palestina. Quando incontra i genitori li rifiuta perché lui è stato cresciuto da genitori ebrei ma soprattutto perché lui si sente ebreo. Non prende in considerazione le giustificazioni oggettive delle condizioni nelle quali si è verificato l’abbandono o delle difficoltà che hanno reso praticamente impossibile cercarlo; egli finisce per essere l’interprete fedele delle ragioni dell’occupante e del disprezzo verso un popolo accusato di non essere capace di difendere i propri figli e la propria terra.
“Uomini sotto il sole” è forse una delle più belle e tristi storie dell'emigrazione. E la storia della diaspora palestinese vista, vissuta, sofferta e raccontata da tre protagonisti che cercano di fuggire dai campi profughi della Cisgiordania, allestiti all'indomani della perdita della Palestina nel 1948, per arrivare in Kuwait, meta, allora, di tanti disperati in cerca di fortuna.
Ed ecco chi, come questa scrittrice, parla di Palestina, ma ne è lontana. Con il vento nei capelli. Vita di una donna palestinese di Salem Salwa è il racconto di una donna palestinese, Salwa Salem, sorpresa dalla guerra del ’70 fuori dalla sua terra e perciò privata del diritto di farvi ritorno. La perdita del diritto al ritorno, infatti, rappresenta un’altra delle ingiustizie di cui sono vittime i palestinesi. Eppure, si tratta di un diritto riconosciuto da tutti i trattati internazionali.
Salwa Salem è una ragazza come tante altre, che vive profondamente radicata nella sua terra che il padre ha cercato di liberare dal governatorato inglese, rischiando anche di essere giustiziato. Salwa ha un carattere ribelle che la porta, ad esempio, a rifiutare il velo (proprio questo gesto finisce per dare il titolo al libro). Una ragazza che ama la propria libertà e vuole contribuire alla lotta di liberazione del suo popolo. Ma in questa sua lotta vuole anche affermare il suo diritto di donna a studiare, ad essere indipendente, a scegliersi un marito senza subire l’imposizione della famiglia. In questo libro ci sono pagine molto intense come quando Salwa organizza uno sciopero e un corteo delle sue compagne di scuola del collegio femminile che frequenta o quando vede arrivare il giovane che sarà poi suo marito.
Come si è detto nel 1970 lei e suo marito, come tantissimi altri, si trovano fuori dai territori occupati, perdendo così il diritto a ritornarvi. Da questo momento inizia una diaspora forzata che li porterà prima a Vienna e poi in Italia. Quando, ritornando per un breve soggiorno con lo scopo di far conoscere alla madre i suoi nipoti, deve subire la violenza dei soldati ai posti di blocco, violenza che viene descritta con efficacia con la rottura intenzionale della bambola della bambina che Salwa tiene in braccio. Anche con questo libro ci affacciamo all’inizio della prima intifada.
Vorremmo ora ricordare due libri Rula Jebreal, una giornalista palestinese naturalizzata italiana, molto nota al nostro pubblico in quanto è stata la prima straniera ad aver condotto un telegiornale nel nostro Paese, quello de La7, e che attualmente è autrice e conduttrice di un programma giornalistico, Onda Anomala, di Rainews 24.
Miral è una ragazza palestinese che vive in Israele e che viene accolta nel collegio-orfanotrofio fondato da Hind Husseini. La zia di Miral ha compiuto un grave attentato e il padre, cambiando il cognome a Miral e allontanandola dalla famiglia, intende evitare che la vita della ragazza sia segnata per sempre da quel marchio. Nel collegio la giovane segue con passione le vicende che condurranno agli accordi di Camp David e manifesta a favore della causa palestinese, fino alla decisione di lasciare la sua terra. Un racconto ispirato alle esperienze vissute dall'autrice, un toccante documento dell'anima lacerata dei giovani palestinesi divisi tra il bisogno di lottare e i sogni di pace.
Nel libro, La sposa di Assuan, per sfuggire alle persecuzioni che colpiscono i cristiani copti in Egitto ai primi del Novecento, una ragazza di Assuan è costretta dal padre a sposare un musulmano. Inizia così il lungo viaggio avventuroso che la porterà dall'Egitto meridionale fino ad Haifa, in Palestina, per conoscere il suo promesso sposo. Sullo sfondo di una regione del mondo dilaniata dai conflitti, la protagonista fa i conti con la disperazione di un popolo privato non solo della terra ma anche della sua identità. E, giorno dopo giorno, impara a resistere alla violenza costruendo intorno a sé una fitta rete di legami solidali. Rula Jebreal è araba palestinese con passaporto israeliano.
La storia rievocata da Rula Jebreal sul filo dei suoi ricordi personali unisce tre generazioni di donne accomunate da un destino che è quello di un popolo e di un Paese. Il romanzo vero di una pluralità di vite, una scrittura capace di evocare un passato perduto e tutta la nostalgia per un futuro di pace che sembra destinato a non arrivare mai.
Segnaliamo infine questo romanzo di uno scrittore algerino che parla di Palestina e affronta un tema molto difficile nell’Attentato firmato con lo pseudonimo di Yasmina Khadra e riportiamo due risposte molto significative tratte da un’intervista rilasciata da Yasmina Khadra (il suo vero nome è Mohammed Moulessehoul), a Geraldina Colotti per Il manifesto.
Da dieci anni lei ambienta i suoi romanzi nei luoghi dei conflitti più brucianti. Perché?
Y.A.: Nel mio piccolo, cerco di essere coscienza critica di una realtà che si vorrebbe ridurre a evento e non a esperienza. Concepisco la letteratura come balsamo e stimolo. Come uno spazio di libertà e di elaborazione terapeutica dei conflitti che le scelte imposte dalla storia e dalla politica portano a dover semplificare e esacerbare. Come un antidoto alla confusione interessata tra l'arroganza di chi offende e le ragioni di chi è offeso, prodotta dai grandi media. Quando eminenti scrittori israeliani giustificano la costruzione del Muro in Palestina, quando osannati filosofi francesi plaudono alla politica del cannone condotta da Israele, più che a uno scontro di civiltà penso a un cortocircuito dell'intelligenza. La guerra è la sconfitta dell'intelligenza, della politica, del buonsenso. La letteratura è stata per me il principale strumento di rivolta contro un'istituzione - quella dell'esercito - in cui non ero più un essere umano ma una matricola che agiva in base a regolamenti, organigrammi e ordini di combattimento. Senza pensare. Può un intellettuale mettersi i paraocchi e agire allo stesso modo?
Come ufficiale dell'esercito, lei ha combattuto con le armi gli integralisti algerini, perché ha scritto un romanzo su una kamikaze palestinese?
Y.A.:Sul piano letterario, era una sfida a cui pensavo da tempo, ma non riuscivo a trovare l'idea giusta: un conflitto individuale, da maneggiare con la precauzione di un artificiere, ma fuori dal cliché della contrapposizione arabo-israeliana e dai discorsi ideologici. E infatti il protagonista si sente per metà arabo e per metà israeliano. Fin da bambino, e poi nei 36 anni di vita militare, ho sempre avuto presente la questione palestinese, che da noi è molto sentita. Ho seguito il calvario di un popolo umiliato e offeso dal colonialismo, dai regimi arabi, dai suoi stessi governanti. E proprio sul tema dell'umiliazione ho costruito il romanzo. Un ufficiale della resistenza dice infatti a un certo punto: la religione non c'entra, la dignità sì. Sul piano politico, l'uomo di pace quale io sono, come il chirurgo del romanzo, vuole curare e non distruggere; ma l'ex-soldato si chiede anche: chi è più colpevole, a parità di orrore, l'umiliato che uccide i civili in un luogo pubblico e muore con le vittime, o chi bombarda un luogo pubblico, ma rimane al riparo? I miei libri sono tradotti in ebraico e ogni anno mi invitano in Israele. Non ho inimicizia verso il popolo israeliano, vittima dell'ottusità dei suoi governanti, ma ho scelto di non andare finché non ci sarà giustizia per i palestinesi.
L’attentato racconta un dramma dolorosamente attuale che si consuma da molti decenni, una storia tragica dei nostri giorni nella quale Yasmina Khadra con lucidità e commozione riesce a dipingere la realtà del terrorismo, a porre quesiti, a illuminare contrasti e contraddizioni.
Di
| Datanews, 2001Di
| Mondadori Bruno, 2002Di
| Editoriale Jouvence, 2016Di
| Edizioni Q, 2015Di
| Feltrinelli, 2013Di
| Edizioni Lavoro, 2014Di
| Edizioni Lavoro, 2016Di
| Rizzoli, 2020Di
| Rizzoli, 2020Di
| Sellerio Editore Palermo, 2016Ti potrebbero interessare
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