È il 1998 quando Rita Hester, una giovane transessuale afro-americana, viene assassinata a Allston, in Massachussetts. Il suo è un omicidio dettato dall'odio e dall'ignoranza, un po' come lo sono molti atti di questo tipo.
Ma nel caso di Rita a violenza è stata aggiunta violenza. Quando i giornali cominciarono a scrivere del suo omicidio, infatti, parlarono di lei al maschile, come se "Rita" fosse solo una seconda identità. E all'ignoranza e all'odio di quell'assassinio si è sommata l'ignoranza che non ha saputo riconoscere a Rita un'unica identità.
Queste sono le tristi premesse di una ricorrenza che, proprio in ricordo di Rita e di tutte le vittime della violenza transfobica, cade ogni 20 novembre dal 1999.
Introdotta da Gwendolyn Ann Smith, attivista transgender, la Giornata mondiale in ricordo delle persone transessuali/transgender vittime di violenza si celebra ogni anno in diverse parti del mondo. Preceduta dal progetto web Remembering Our Dead, la ricorrenza ha cambiato volto nel corso del tempo.
Se fino agli anni '90, infatti, il termine transgender era riferito per lo più a persone transessuali, che modificano i propri caratteri sessuali con la terapia ormonale e diversi interventi chirurgici, oggi la parola definisce tutte le persone la cui identità di genere non collima con il sesso assegnato alla nascita.
Al di là delle questioni teoriche, di cosa effettivamente significhi oggi transgender, celebrare una Giornata mondiale in ricordo di tutte le persone che hanno perso la vita per essere state se stesse è un gesto piccolo in confronto all'ignoranza che ancora affligge la società. E in un paese come l'Italia che ha il triste primato in Europa per gli omicidi di persone transgender, dovremmo fare ancora più attenzione.
In questi ultimi giorni il feed di TikTok ci restituisce molti video su cosa sia e su come venga percepita questa ricorrenza. Persone reali che mostrano il loro volto, parlano, ricordano tutte le vittime della transfobia.
Persone come Alessia Nobile, la prima transgender della sua regione a ottenere il cambio anagrafico di sesso senza essersi dovuta sottoporre a un intervento risolutivo.
Alessia ha voluto raccontare la propria storia perché essa, insieme alla voce di tante altre narrazioni (vi potrebbe interessare la nostra intervista a Francesco Cicconetti), potesse ricordare chi ha perso la vita a causa di violenza, odio e ignoranza. Ma non solo. La sua storia, costruita su due piani narrativi, riflette sull'interiorità di chi si scopre nato in un corpo non proprio e su tutto ciò che esteriormente questi sentimenti comportano: non accettazione, ingiustizia, violenza.
Autrice del libro La bambina invisibile, Alessia parte da una semplice, eppure così profonda e sconvolgente domanda: "Vi siete mai chiesti che cosa vuol dire per un* bambin* non riconoscersi nel proprio corpo?".
Che la Giornata mondiale in memoria delle persone transgender vittime di violenza, che la testimonianza di Alessia e di tante altre come lei possano essere d'aiuto a far riconoscere come vera identità, e non come una seconda identità, quella bambina invisibile, nascosta agli occhi di tutti, ma sempre stata lì.
Non vogliamo più Rita, Katty, Bebel, Marta. Vogliamo persone libere di essere se stesse.