I Mondiali di calcio che iniziano tra meno di un mese in Qatar sono un’occasione straordinaria di pubblicità globale per il piccolo e ricchissimo emirato del Golfo Persico: un modo per attirare turismo e investimenti, per contare al di là delle dimensioni minime (poco più grande dell’Abruzzo, con 2 milioni e 800 mila abitanti) e delle formidabili riserve energetiche (terzo maggiore produttore di gas al mondo). Ma secondo gli attivisti LGBT dovrebbero essere anche un’occasione per denunciare le leggi islamiche che in Qatar considerano l’omosessualità un reato e la puniscono severamente.
A ricordare questo ultimo punto ha contribuito questa settimana il ministro degli Esteri britannico James Cleverly, suggerendo ai tifosi gay inglesi che intendono seguire la propria squadra in Qatar di “rispettare il paese ospitante” e di comportarsi “con flessibilità”. Il ministro ha detto di avere parlato della questione con le autorità qatariote, ricevendo assicurazione che tutti i tifosi saranno bene accolti e potranno “divertirsi”. Ma ha aggiunto che, perché questo sia possibile, entrambe le parti, cioè sia i gay, sia il Qatar, dovranno trovare “un compromesso”.
Commenta Gary Lineker, grande giocatore inglese, oggi il più noto telecronista di football della BBC: “In sostanza, il messaggio del ministro è questo: non fate niente di gay e andrà tutto bene”. Lineker afferma che, al contrario, i Mondiali dovrebbero servire per condannare la repressione dell’omosessualità in Qatar; e che se uno dei calciatori che partecipano al torneo volesse fare “coming out” dichiarandosi gay, questo sarebbe il momento adatto. Per il momento, il principe William, presidente della Federcalcio inglese, ha annunciato che non andrà in Qatar.
Fare un gol alle discriminazioni sessuali e al dispotismo: ecco quale sarebbe un bel risultato ai Mondiali.
Altre riflessioni di Enrico Franceschini
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