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Chi si risente: il ritorno degli Arcade Fire

Anche se avrebbe potuto benissimo essere lungo la metà, avevo apprezzato parecchio Reflektor, con quella svolta dance ed elettronica degli Arcade Fire. Un po' meno avevo digerito la leggerezza, a tratti vacua, del successivo Everything Now, tanto atteso quanto rapidamente dimenticato un po' da tutti, accaniti fan compresi. Meglio così, probabilmente.

Il pericolo era che, dopo due dischi "minori", fossero gli stessi Arcade Fire a essere accantonati. Bene, quindi, che siano tornati indietro per potere andare avanti. Il loro nuovo disco, We, è proprio quello che, prima di Reflektor, ci si aspettava da loro. Una raccolta di canzoni di quelle che entrano subito in testa ed escono dalle gole, cantandole in coro ai loro concerti. Magari definirle "inni" sarebbe troppo, ma riescono a essere complesse e, insieme, immediate. Raro caso di band generazionale a essere diventata universale.

Quello degli Arcade Fire ormai è rock e basta, nella sua più completa e profonda espressione. Senza essere roll e nemmeno alt. Tirando le somme, We non rientra negli acquisti obbligati, non è un disco che vi cambierà la vita, ma potrebbe risollevarvi il morale un sabato pomeriggio, operazione non sempre facile (parlo per me).

We (Digipack)
We (Digipack) Di Arcade Fire

“We” è il sesto album in studio della rock band canadese, che torna a distanza di cinque anni dal precedente progetto discografico “Everything Now”. La pubblicazione di ‘We’ è stata anticipata dal primo singolo estratto “The Lightning I, II”.

A proposito di ritorni, è uscito Better in the Shade, del redivivo Patrick Watson. Anche lui si è avventurato sui sentieri di un'elettronica anni Ottanta che, di questi tempi, si stanno trasformando in strade maestre, percorse e ripercorse da parecchi artisti, da John Grant al compianto Mark Lanegan. Watson se la cava con grazia, in un disco breve quanto intenso, quasi sempre orecchiabile, con qualche sfumatura oscura che al sottoscritto mai dispiace. Ve lo segnalo volentieri, anche perché ho notato che se ne parla troppo poco.

Poco clamore ha generato pure Kurt Vile, con (Watch my Moves) - scritto così, fra parentesi - che riconferma la sua classe di cantautore capace di tenersi fuori dalle mode, a cui basta scrivere buoni pezzi, in cui emergono con forza ispirazione e sincerità. Confessioni e riflessioni sonore, con pennellate di folk (quello sempre), blues e, questa volta, anche jazz. I War On Drugs, che comunque continuano a produrre dischi più che dignitosi, hanno perso molto, quando Vile se n'è andato.

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