So essere uomo di parola. Mettendo in atto un buon proposito di cui vi dicevo settimana scorsa, sono andato a Bologna per una data del tour di Giorgio. Spoiler: una bomba (ma, lo so, ora direte che sono di parte). A ogni modo, Giorgio mi ha dato un passaggio da Milano e, con l'inopinata complicità di una lunga coda, ci siamo fatti una bella chiacchierata. Ci sono un fumettista e un musicista in viaggio insieme. Sembra l'inizio di una barzelletta...
Giorgio mi chiede come va con i fumetti. Scrollo la mano e accenno un sorriso di scuse. "Bene, sì, dai, ma è lavoro". Lui capisce che non mi va di parlarne. Allora io mi metto a parlare di musica e, insomma, andiamo avanti fino a Bologna.
Parlare e ascoltare. Giorgio collega il mio telefono all'impianto dell'auto, così mi trasformo in una specie di deejay. Finiva così anche quando eravamo ragazzi. Con la differenza che all'epoca c'erano le cassette e le autoradio estraibili, croce e delizia. (Citazione di Paolo Rossi: "Rubavo la droga per comprarmi le autoradio".)
Su richiesta del mio vecchio amico, gli faccio sentire un paio di cose che mi piacciono adesso. "Posteriori al 1984, per favore," si raccomanda con moderata ironia.
Metto su I Love You, singolo, di cui già vi ho parlato, che anticipa il nuovo album dei Fontaines D.C. Commentiamo l'efficacia della sezione ritmica. Poi metto un pezzo degli Idles, con riflessioni sulla attuale rivincita delle chitarre elettriche.
Da lì, arriva lo spunto per passare ai Karate. Non ho mai chiesto a Giorgio che ne pensa. Mi rivela che gli sono sempre piaciuti molto.
Il che mi sorprende, ma anche no. I Karate piacciono spesso, appunto a sorpresa, anche a gente (come me) che di solito non apprezza chitarre pulite, assoli e incursioni nel jazz. Scelgo Unsolved, ma Giorgio mi dice che c'era un altro disco dei Karate, uno che gli piaceva di più, però non ricorda il titolo. Scommetto che è In Place of Real Insight, il secondo della band di Boston, e vinco. So che molti lo considerano il loro capolavoro. Ce lo ascoltiamo tutto quanto, ammirati, rimembrando i fasti dello slowcore. Ci sono alcuni pezzi che più lenti di così non potrebbero essere nemmeno mettendoli a sedici giri. Meraviglia.
Giocoforza, finito quell'ascolto, scegliamo fra Fugazi e Slint. Vincono i secondi. Spiderland è un must mio e di Giorgio. Il guaio è che lo conosciamo a memoria e, quindi, dopo un paio di pezzi ci viene voglia d'altro.
Per antitesi, decido di dare un'accelerata. Stupisco Giorgio, arroventando l'abitacolo con Overkill dei Motörhead. Giorgio osserva che c'è un grande equivoco, sulla band di Lemmy Kilmister: la gente dice che facevano metal, mentre erano punk. Annuisco, con fare grave. Sottolineo, però, certi sentori hendrixiani che sfuggono ai più. Giorgio, a sua volta, annuisce.
Da lì in poi, è tutto un collegare i puntini, sebbene a volte con linee parecchio lunghe e non proprio dritte. Circa in questo ordine, sentiamo gli Hawkwind, Syd Barrett, Can (Tago Mago, che adoriamo), Todd Rundgren, Roxy Music, Immanuel Casto e, con qualcos'altro in mezzo che non ricordo, approdiamo a Bologna sulle note (e non solo note) di Donda di Kanye West. È stato un bel viaggio. Tutta la musica bella, in fondo, lo è. Peccato che domani torno in treno.
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