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All'arme! All'arme! I priori fanno carne di Alessandro Barbero

Un grido si leva nell’aria. Siamo nel 1378, è il 20 luglio, un artigiano sta incitando i suoi compagni alla rivolta.

Ma quale rivolta? Nei fatti, è la rivolta dei Ciompi che infiamma le strade di Firenze, ma estrapolata dal contesto e appuntato il suo grido in copertina a mo’ di titolo, diventa sineddoche di tutte quelle rivolte che infiammarono l’Europa nel Trecento e che si susseguono in questo libro, punteggiando così la linea del tempo: 1358, la Jacquerie; 1378, il tumulto dei Ciompi; 1381, l'insurrezione inglese; 1386, la rivolta dei Tuchini.

All’arme! All’arme! I priori fanno carne!

Utilizzando le cronache del tempo, Alessandro Barbero ci fa rivivere la concitazione, l’entusiasmo, la violenza di quelle giornate in cui una massa di persone decise che il futuro così come lo vedeva non gli piaceva e provò a cambiarlo.

In Allarme! All’arme! I priori fanno carne (edito Laterza), Alessandro Barbero prende la rincorsa e lo fa, non a caso, partendo dai cosiddetti “secoli bui”, per arrivare a riflettere su due concetti che sono andati ripetendosi ciclicamente nel corso della storia fino ai giorni nostri: la rivolta e la rivoluzione.

Entrambe animate dalla stessa forza motrice, mirano a innescare un movimento di “rivoluzione”, intesa come un cambio di direzione, quasi che sulla strada apparentemente lineare della Storia tutt’a un tratto spunti un tornante che costringa chi viaggia a un’azione improvvisa: come una brusca sterzata, che può far perdere il controllo del proprio veicolo, se non ce ne si assume il comando verso la nuova direzione.

Dalla Rivoluzione inglese del Seicento a quella americana e francese del Settecento «la storia moderna è scandita da tornanti decisivi» che hanno portato a grandi cambi di rotta con effetti che – come cerchi concentrici si sono propagano in acque smosse – si sono propagati fino ai giorni nostri.

Ma quello che Alessandro Barbero si chiede, il sasso che lancia nell’acqua, il moto che innesca e grazie al quale si diffondono le onde di risposta in tutto il romanzo è: «E prima?»

In realtà la storia d’Europa, almeno nell’ultimo millennio, è tutta punteggiata da momenti critici in cui una massa di persone decide che il futuro così come lo vede non gli piace e prova a cambiarlo. Quando ci riesce, il mondo va a gambe all’aria e il futuro cambia, e in questo caso noi parliamo di rivoluzione.

Quando non ci riesce si parla di rivolte, sommosse, tumulti e quando se ne parla, significa solo una cosa: che non si è riusciti a cambiare il futuro, ha prevalso l’ordine costituito.

I rivoltosi sono quindi rappresentati spesso (a posteriori, s’intende) dai cronisti del tempo come una massa di “poveracci”, di folle inconsapevoli e affamate, che credevano di cambiare il mondo, ma non ce l’hanno fatta.

Così che le rivolte finiscono a occupare nella storia il posto poco dignitoso di “rivoluzioni che non ce l’hanno fatta”. Eppure, di questi eventi, ne è piena la storia e in particolare, nella seconda metà del Trecento, la concentrazione è stata tale da costituire un’anomalia.

Questo libro racconta proprio le più spettacolari fra queste insurrezioni che nonostante un inizio irresistibile sono state soffocate e represse in poche settimane. E naturalmente cercheremo di evitare la trappola per cui il loro fallimento diventa la prova che non avevano nessuna possibilità di riuscire, anzi non perseguivano neppure un obiettivo consapevole.

Ed è proprio con un obiettivo ben preciso che il più noto tra gli storici italiani nonché rinomato insegnante di Storia Medievale all’Università degli Studi del Piemonte, utilizzando le cronache del tempo come voce di contrappunto, alza il suo grido alla riconquista di uno spazio dedicato a tutte quelle rivolte popolari che hanno saputo – se non cambiare il senso degli eventi – farsi sentire e incidere il proprio passaggio nella memoria collettiva.

Barbero sembra così porsi dalla parte dei vinti, rinuncia per un attimo alla prospettiva onnisciente che ne valuta la “sconfitta” alla luce del quadro storico complessivo, rivalutandone invece la storia e indagando i desideri, i bisogni, le cause che hanno spinto «un po’ di gente dei villaggi di campagna a riunirsi, un po’ dappertutto, senza capi».

Questo è quello che riporta il cronista Jean Froissart in merito agli episodi iniziali da cui scaturì la Jacquerie, la rivolta dei contadini che nel 1358 infiammò la Francia del Nord ed ebbe come bersaglio la classe dei “padroni”. Ed è evidente nelle cronache del tempo il pregiudizio degli osservatori dell’epoca, tutti perlopiù della classe dirigente, laica o ecclesiastica, e quindi inevitabilmente imparziali.

Dunque bruciano le case dei gentiluomini. Ma prima di bruciare il castello, la torre o la cassaforte del nobile ci si entra, e si saccheggia. Cosa portano via? i vestiti, notano i cronisti. Portavano via la roba e rivestivano se stessi e le loro donne contadine in modo più pittoresco.

Dunque, dove finisce la rivolta e inizia la rivoluzione e viceversa? La rivoluzione inizia dove la rivolta fallisce: nella conquista del futuro. Ma sono le rivolte che si conquistano in questo libro lo spazio di protagoniste e si accattivano l'interesse per il loro carattere risoluto e a volte eccentrico, spesso in pieno stile Robin Hood, rivendicando al lettore quell'attenzione che si sono viste sottrarre nel tempo.

E Barbero, lo storico per eccellenza dei nostri tempi, si accosta oggi ai fatti della storia e dell'umano un po' come l'osservatore per Verga che «travolto anch'esso dalla fiumana, guardandosi attorno, ha il diritto di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dall'onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il piede brutale dei sopravvegnenti, i vincitori d'oggi, affrettati anch'essi, avidi anch'essi d'arrivare, e che saranno sorpassati domani». 

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Conosci l'autore

Scrittore e storico italiano. Laureato in Storia Medioevale con Giovanni Tabacco, nel 1981, ha poi perfezionato i suoi studi alla Scuola Normale di Pisa sino al 1984. Ricercatore universitario dal 1984, diventa professore associato all’Università del Piemonte Orientale a Vercelli nel 1998, dove insegna Storia Medievale. Ha pubblicato romanzi e molti saggi di storia non solo medievale. Con il romanzo d’esordio, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle gentiluomo, ha vinto il Premio Strega nel 1996.Collabora con La Stampa e Tuttolibri, con la rivista "Medioevo", e con i programmi televisivi ("Superquark") e radiofonici ("Alle otto della sera") della RAI. Tra i suoi impegni si conta anche la direzione della "Storia d'Europa e del Mediterraneo" della Salerno Editrice. Tra i suoi titoli più recenti ricordiamo: Lepanto. La battaglia dei tre imperi (Laterza 2010), Il divano di Istanbul (Sellerio 2011), I prigionieri dei Savoia (Laterza 2012), Le ateniesi (Mondadori 2015), Costantino il vincitore (Salerno 2016), Dante (Laterza 2020), Alabama (Sellerio 2021), Brick for stone (Sellerio 2023) e All'arme! All'arme! I priori fanno carne! (Laterza, 2023).

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