Un libro per me decisivo è "L’uomo è antiquato" di Günther Anders, allievo di Heidegger. È un libro essenziale per descrivere il mondo della tecnica: se consideriamo che è stato scritto negli anni Cinquanta, è un libro profetico, perché Günther Anders non aveva ancora visto l’informatica, non aveva ancora visto quello che vediamo noi oggi. Lo voglio consigliare ai lettori perché si rendano conto che la tecnica non è uno strumento nelle mani dell’uomo, la tecnica è un mondo, e il concetto di mondo è diverso dal concetto di strumento
Tutti conosciamo Umberto Galimberti. Il grande filosofo e psicoanalista italiano ha posto al centro del suo pensiero una personalissima interpretazione della crisi della società contemporanea, del dominio della tecnica e del posto che può ancora occupare, in tutto questo, l’animo umano. Di recente pubblicazione, Il libro delle emozioni (Feltrinelli 2021), indaga in chiave filosofica quale spazio possa essere riservato all’emotività nell’era della razionalità tecnica in cui viviamo.
Noi uomini, inventori di strumenti tecnici e tecnologici sempre più all’avanguardia, ne siamo i padroni? O siamo ormai dominati da essi?
Possediamo uno smartphone? o non è piuttosto lo smartphone a possederci, dirigendo il nostro modo di pensare e agire? E, soprattutto, siamo consapevoli di tutto ciò? Che opinione abbiamo in merito?
Il libro indispensabile ad una riflessione approfondita su questi interrogativi è per Galimberti L’uomo è antiquato, opera in due volumi scritta da Günther Anders. Il primo volume esce in Germania nel 1956, per essere poi pubblicato in Italia nel 1963 per i tipi de Il Saggiatore. Il secondo volume, pubblicato nel 1980, viene tradotto in italiano nel 1992 ed entra a far parte del catalogo di Bollati Boringhieri, che oggi comprende entrambi i volumi.
Di
| Bollati Boringhieri, 2007Di
| Bollati Boringhieri, 2007Günther Anders (1902-1992), nato Günther Siegmund Stern, è stato un filosofo tedesco novecentesco.
La sua vita fu segnata da incontri con i più importanti filosofi del tempo: cresciuto avendo come maestri Martin Heidegger e Edmond Husserl, si vide negare una cattedra a Francoforte anche per volontà di Theodor Adorno. Nel 1929 sposò la filosofa Hannah Arendt, dalla quale poi avrebbe divorziato nei difficili anni della guerra (rimane un bellissimo carteggio fra i due).
Dopo l’incendio del Reichstag del 1933 Günther, date le sue origini ebree, emigra a Parigi e successivamente a New York. Torna in Europa nel 1950, stabilendosi a Vienna, e proprio qui, ancora scosso dall’esperienza della guerra e della sua incresciosa messa a fine accelerata dall’utilizzo della bomba atomica, Anders comincia la stesura di L’uomo è antiquato. La tesi che il filosofo sostiene nel suo scritto è già ben esemplificata dal titolo: l’uomo è “antiquato” rispetto alle macchine, al mondo tecnico. L’uomo ha creato le macchine e ne ha poi perso il controllo, il progresso della tecnologia è di gran lunga più rapido di quello umano. L’uomo è dunque condannato ad essere progressivamente meno efficiente, meno aggiornato rispetto ai mezzi tecnologici da lui stesso creati. Di più: questo uomo, ormai “antiquato", è destinato a soccombere.
Ciò che maggiormente colpisce dell’argomentazione di Günther Anders sono la lucidità dell’interpretazione del mondo emerso dal conflitto e l’attualità delle sue tesi in relazione agli sviluppi che la tecnica avrebbe impresso al mondo contemporaneo. Come ci invita a notare Galimberti:
“La tecnica è un mondo perché è aumentata quantitativamente fino a creare il mondo: non siamo liberi di non avere il cellulare o il computer. Se non li abbiamo siamo esclusi dalla socializzazione. La tecnica è uscita dal suo campo ed è entrata a occupare i campi della socializzazione e della modalità di pensare.”
Macchine perfette ed eterne contro l’uomo intrinsecamente imperfetto e caduco. Per definire il senso di impotenza, prostrazione, sconforto che l’uomo prova al cospetto delle macchine, Anders parla di “vergogna prometeica”: l’uomo, novello Prometeo, si ritrova ad essere subalterno alle sue creazioni. L’uomo è inadeguato di fronte a ciò che ormai la tecnica rende possibile: la corsa agli armamenti, il controllo delle coscienze (in particolare attraverso quelli che allora erano “strumenti nuovi”, la radio e la televisione), la distruzione dell’ambiente, l’annientamento stesso della specie umana tramite l’utilizzo della bomba atomica (Anders fu un attivo sostenitore di posizioni antiatomiche).
Vi è ormai un divario troppo grande tra ciò che l’uomo demiurgo è riuscito a produrre e ciò che riesce non solo a comprendere e controllare, ma persino ad immaginare.
Emblematica la fitta corrispondenza che Anders tenne con Claude Eatherly, aviatore e meteorologo che il 6 agosto 1945, dopo aver controllato le condizioni di visibilità, diede il via libera allo sgancio della bomba atomica su Hiroshima. A seguito di questo evento, Eatherly visse anni tormentati, culminati con un tentativo di suicidio e il ricovero in un ospedale psichiatrico. Anders venne a conoscenza della sua storia nel 1959 dal Newsweek e decise di scrivergli: Eatherly non era colpevole, bensì “l’ultima vittima di Hiroshima”, non era consapevole del meccanismo di cui era stato parte attiva, non poteva immaginare la potenzialità tecnica della bomba:
«La tecnicizzazione dell’esistenza: il fatto che, indirettamente e senza saperlo, come le rotelle di una macchina, possiamo essere inseriti in azioni di cui non prevediamo gli effetti, e che, se ne prevedessimo gli effetti, non potremmo approvare – questo fatto ha trasformato la situazione morale di tutti noi. La tecnica ha fatto sì che si possa diventare “incolpevolmente colpevoli”, in un modo che era ancora ignoto al mondo tecnicamente meno avanzato dei nostri padri.»
La tecnica domina azioni e pensieri. Così pensava Anders a proposito della radio e della televisione in ogni casa:
«Al giorno d’oggi si procede a domicilio alla degradazione dell’individualità e al livellamento della razionalità. Non c’è bisogno della strategia di massa nello stile di Hitler: se si vuole ridurre l’uomo a uno zero (perfino a essere orgoglioso di essere uno zero) non occorre più affogarlo in maree di massa […] Non c’è modo migliore di togliere all’uomo la sua personalità, la sua forza di uomo, di quello che preserva apparentemente la libertà della personalità e il diritto all’individualità. Se il processo di conditioning ha luogo per ognuno separatamente, nella casa del singolo, in solitudine, nei milioni di solitudini, tanto migliore ne sarà la riuscita. Dato che si presenta come fun, dato che non fa sapere alla vittima che pretende da lei dei sacrifici, dato che le lascia l’illusione della sua vita privata, o almeno del suo ambiente privato, il trattamento è assolutamente discreto.»
La tesi di Anders ha preso forza nel corso degli anni: pensiamo, solo per citare qualche esempio, alla devastazione dell’ambiente con la quale ci troviamo oggi a fare i conti, o agli incredibili e a tratti inquietanti sviluppi dell’AI, o ancora alla nostra dipendenza dai social e all’utilizzo dei dati per il controllo degli utenti. Se il corso degli eventi non è reversibile, è quantomeno necessario cercare di comprendere.
Il progresso tecnologico ad opera umana porta in sé l’illusione di essere ancora i protagonisti della storia, di essere ancora liberi: ma lo siamo davvero?
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