Isaac Bashevis Singer è uno scrittore yiddish che racconta la Polonia cancellata con l’Olocausto, ma lo fa in maniera vivace, piena di dettagli, e anche poco etica. Un enorme affresco di una società vivacissima, piena di contraddizioni, che è scomparsa completamente dalla storia
Cristina Comencini, intervistata da noi in occasione dell’uscita del suo libro Flashback, quando ci ha consigliato di leggere La famiglia Moskat di Isaac Bashevis Singer, non poteva sapere che di lì a poco avremmo dedicato un intero approfondimento alle saghe familiari da non perdere.
Tra i libri della nostra lista, figura La famiglia Karnowski di Israel Joshua Singer, niente di meno che suo fratello, anch’egli dedito alla narrazione incentrata sulle generazioni di famiglie ebraiche che si susseguono nei decenni, mutando insieme al contesto socioeconomico in cui vivono.
La famiglia del vecchio patriarca Meshulam Moskat attraversa gli anni che dall'inizio del Novecento scendono fino alla seconda guerra mondiale e alla "soluzione finale" messa in atto dal regime nazista. Ma il vero protagonista di questo possente romanzo è l'Ostjudentum, la società ebraico-orientale - in particolare quella di Varsavia - con la sua complessa e densa cultura.
Non si può dire che la famiglia Singer non abbia la scrittura nel sangue: tutti i componenti raccontavano storie e Isaac iniziò a inventare racconti sin da piccolo. Esther Kreitman, sua sorella, e Israel, il già citato fratello, divennero scrittori proprio come lui.
Figli di un rabbino chassidico, la loro forte educazione ebraica è facilmente riscontrabile sia nella lingua con cui hanno scritto i testi, l’yiddish, sia nelle storie che hanno amato narrare: famiglie ebraiche seguite da vicino, anno dopo anno, generazione dopo generazione, in un’estensione temporale dilatata.
La famiglia Moskat è un’opera articolata di quasi 700 pagine, il cui vastissimo numero di personaggi rappresenta alla perfezione le mille sfaccettature della realtà ebraica in una Polonia che va dai primi del ‘900 fino alla sua invasione da parte di Hitler.
L’ambientazione è Varsavia, un punto di arrivo e un punto di partenza, un luogo di evoluzione, conflitto, mutamento, nel quale viene collocata la famiglia Moskat.
La storia si apre con il vedovo Reb Meshulam Moskat che torna da Karlsbad con una terza moglie, Rosa Frumetl, e sua figlia Adele. La progenie di Moskat non ne è entusiasta, poiché preoccupata dalle due presenze in più con le quali scontrarsi in vista della morte del padre e la conseguente apertura del testamento.
Qualche settimana dopo fa il suo ingresso in scena Asa Heshel Bannet, intenzionato a studiare all’Università di Varsavia. Facendo la conoscenza di Abram Shapiro, il più eccentrico tra i generi di Meshulam, verrà introdotto in famiglia, portando non poco scompiglio, tra amori e crisi familiari già in atto.
Sarà l’improvvisa morte di Meshulam a far disintegrare la famiglia: il testamento non firmato che non permetterà ai discendenti di spartirsi le ricchezze, il tradimento di Koppel, il tuttofare e fedele consigliere del capostipite ormai deceduto, i primi viaggi verso la Palestina e la ricerca di fortuna in America.
Pagina dopo pagina, il lettore assiste all’allontanamento di questa famiglia dalle tradizioni ebraiche verso un’omologazione più occidentale.
Tra amori, tradimenti, sogni e fallimenti, alle porte della Seconda Guerra Mondiale, il libro si chiude.
Come? A voi scoprirlo.
Innegabile, però, resta l’esclusiva visione che Isaac B. Singer, Premio Nobel per la letteratura nel 1978, ci offre: una comunità vittima di una guerra ambivalente rappresentata dall’indebolimento della tradizione ebraica da una parte, e l’avanzamento del nazismo dall’altra, prima della terribile soluzione finale.
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