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La vita davanti a sé di Romain Gary

Quante volte abbiamo desiderato essere qualcun altro? Spogliarci dei nostri panni ed indossare quelli di una persona diversa da noi, assumendone pregi e difetti, ma soprattutto vita – e conseguentemente storia – diverse dalla nostra?

Adesso penserete: «Facile, gli scrittori ne hanno sempre l’occasione quando creano i protagonisti delle loro storie».
Be’, non è di questo che vi parleremo qui. Vogliamo dirvi invece che c’è chi lo ha fatto sul serio e non con un personaggio fittizio, ma con un vero e proprio alter ego di sé stesso. Stiamo parlando di Roman Gary, l’autore di La vita davanti a sé, che ha pubblicato il libro vincitore del premio francese Goncourt sotto falso nome: quello di Émile Ajar.

Ma perché Alessandro Bertante, in occasione dell’interessante intervista relativa al suo Mordi e Fuggi, lo ha scelto come cult?

Perché a scriverlo è uno scrittore sessantenne che si immedesima nella prima persona di un dodicenne di origine araba a Belville, a Parigi. Quando lui era considerato quasi uno scrittore finito, dimostrò di essere ancora un grandissimo straordinario talento.

Alessandro Bertante

Di immedesimazione, d’altronde, Bertante ne sa qualcosa: per ritrarre con una tale maestria la figura di Alberto Boscolo, il protagonista nel quale si cala in Mordi e Fuggi per condurci dritti al cuore delle Brigate Rosse, ha infatti preso ispirazione proprio dall’opera di Gary.
… O di Ajar?
Abbiamo scoperto che questa sua incredibile maestria nell’assumere altre identità, ha radici che partono dal suo passato.

Nato nel 1914 in Lituania come Roman Kacewil, la famiglia in cui cresce non può definirsi un ambiente sano: il padre lo abbandona alle frustrazioni della madre, attrice mancata, che riversa su di lui desideri di ambizione e rivalsa, dipingendogli la Francia come terra promessa. Roman cresce con l’imposizione materna di dover diventare qualcuno a tutti i costi e, stabilitosi con lei a Nizza, non esita ad assumere il nome di Romain Gary.
Arruolatosi nell’aviazione francese, viene congedato con onore come eroe di guerra e inizia a scrivere senza più fermarsi. Affamato di riconoscimenti e smanioso di notorietà, realizza il sogno della madre e si conquista il primo posto fra gli autori più stimati dell’intera Francia, grazie anche alla vincita del premio Goncourt con il libro Le radici del cielo.

Non c’è alcun errore, avete letto bene.
Nel 1956 era Romain Gary a ritirare uno dei premi letterari più importanti del "Pays des Lumières".  Diciannove anni dopo, è Émile Ajar a ricevere il medesimo premio con l’opera La vita davanti a sé. Proprio lui, l’alter-ego creato da Gary poiché stufo di essere considerato ormai nulla di più che un vecchio scrittore in declino.
Infilando il suo personaggio in una nube di mistero, aveva suscitato un tale scalpore da rivivere quegli anni di gloria che non aveva mai smesso di bramare, nemmeno dopo tutta la notorietà conquistata in passato.

Ovviamente, questa si rivelò essere una mera illusione e il suo castello di carte cadde proprio quando La vita davanti a sé trionfò su tutti gli altri testi candidati al premio. Riuscendo a mantenere precariamente il segreto con l’aiuto di un cugino della madre, che finse di essere Émile Ajar in cambio di una parte dei diritti ricavati dall’opera, finì comunque col venire divorato da quel senso di perenne insoddisfazione che portava dentro sin da bambino.
È il 1980 quando Romain Gary si uccide, non prima di aver spedito una lunga lettera al suo editore, confessandogli tutta la verità su quella doppia identità che aveva finito con l’inghiottirlo.

Chi vuole imparare a padroneggiare una prima persona lontana da sé, deve leggere La vita davanti a sé di Romain Gary, un romanzo straordinario sia come trama sia come impronta stilistica dell’autore.

Alessandro Bertante

E straordinario lo è davvero, non solo il romanzo ma – come avete letto – il percorso che questo libro ha fatto prima di far vincere per la seconda volta un prestigioso premio al suo autore.
Ora che conoscete la vita turbolenta di Gary – o Ajar – capirete più facilmente come sia riuscito a immedesimarsi così bene nei panni di un ragazzino musulmano dal nome Momò, che abita nella periferia di Parigi in un ambiente multiculturale ai limiti della marginalità.
Attraverso lui Gary sembra tornare indietro nel tempo, a quello di un bambino che ci offre la propria prospettiva attraverso un linguaggio semplice ma riflessivo, a tratti buffo, accostando innocenza a quella disarmante schiettezza tipica della tenera età.

Adottato da Madame Rosa, anziana ex-prostituta ebrea reduce da Auschwitz, Momò vive con altri figli di prostitute a lei affidati. Non sa nulla di sé: è l’unico a cui la madre non ha mai fatto visita, ha scoperto di essere arabo dopo aver ricevuto insulti a scuola e solo nel corso del libro viene a scoprire la tremenda verità sulla sua famiglia.
La fantomatica “vita davanti a sé” si rivela quindi essere per lui più una minaccia che una promessa.

Certe volte avevo paura perché avevo ancora molta vita davanti a me e che promessa potevo mai fare a me stesso, io, povero uomo, se è Dio che tiene in mano la gomma da cancellare?

Romain Gary, La vita davanti a sé

Il perno resterà Madame Rosa, l’unica vera figura genitoriale che Momò ha mai avuto, la quale – vicina alla fine – porterà il ragazzino ad interrogarsi inevitabilmente sull’amarezza della vita, la felicità e la tragedia della morte.
Proprio lei, quella morte che – dopo un’esistenza così travagliata – sembra essere apparsa a Gary come ultima e inevitabile scelta.

Se siamo riusciti a incuriosirvi con l’affascinante mondo di questo tormentato scrittore, vi consigliamo anche un recente adattamento cinematografico, tutto italiano, della sua opera: La vita davanti a sé (2020), diretto da Edoardo Ponti con la magnifica Sophia Loren nei panni di Madame Rosa.

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Conosci l'autore

Romain Gary (Pseudonimo di Romain Kacev) nacque nel 1914. Lituano di nascita, nel 1928 si trasferì a Parigi. A trent'anni, Gary è un eroe di guerra (gli viene conferita la Legion d'honneur) e scrive il suo primo romanzo, Formiche a Stalingrado (1945), ispirato alla resistenza polacca contro i tedeschi, e che Sartre giudica il miglior testo sulla resistenza; comincia a lavorare come diplomatico per la Francia. Nel 1956 vince il Gouncourt con Le radici del cielo, ambientato in Africa, sulla lotta generosa di pochi volonterosi contro la decimazione degli elefanti, cui seguono, tra gli altri: La promessa dell’alba (1959), dedicato alla memoria della madre; Cane bianco (1970), di contenuto antirazzista; La vita davanti a sé (con lo pseudonimo di Émile Ajar, 1975, Premio Goncourt); Gli aquiloni (1980). Fu il marito della scrittrice Lesley Blanch e dell'attrice americana Jean Seberg, dalla quale divorziò. Poco più di un anno dopo il suicidio di questa (settembre 1979, per ingestione di barbiturici), si diede la morte nella sua casa a Parigi. In Italia i suoi romanzi sono pubblicati da Neri Pozza.

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