Perché si scrive di storia? La domanda oggi è così irrimediabilmente innervata di risvolti culturali, sociali, politici, economici e spirituali che difficilmente la si potrebbe porre nei luoghi in cui solitamente si (stra)parla di storia (talk show, giornali, bar, soprattutto…) senza perdere qualche amicə per strada.
Meglio provare a smorzare i toni sul presente e occuparsi di quello che gli storici e le storiche dovrebbero fare per statuto: studiare la gente morta. Anche se, a ben leggere, la scelta del “mestiere di storico” non è stata mai stata, nemmeno in passato, semplice, né tantomeno neutra.
Storici per vocazione (Viella 2021) è una interessante raccolta di contributi che cerca di sondare un problema tutt’altro che secondario nella storia della storiografia, vale a dire: perché, prima ancora che la storia sorgesse dalle nebbie del Racconto come scienza umana autonoma, alcuni uomini si sono messi a raccontare e, quindi, leggere e interpretare il passato? Cosa ha spinto generazioni di persone a ritenere utile scrivere, e quindi tramandare, una visione di un passato che voleva essere parte di una sorta di eredità da lasciare a chi sarebbe venuto dopo?
Molte cronache medievali contengono passi dedicati a giustificare la scelta di scrivere di storia. Sono in genere note in cui si insiste sulla necessità di consegnare alla scrittura il ricordo dei fatti, ma in qualche caso compaiono motivazioni più specifiche che rimandano alla committenza oppure richiamano episodi della vita dell'autore in cui è maturata la vocazione a storico. I saggi di questo volume analizzano opere composte in tempi e luoghi diversi per provare a cogliere le modalità attraverso cui gli storici del medioevo hanno spiegato le ragioni che li hanno indotti a dedicare tempo, fatica e impegno alla stesura di testi dalle caratteristiche particolari che non rientrano nei canoni della letteratura o della trattatistica e la cui stesura non prevede una specifica formazione.
Nei saggi curati da Marino Zabbia spuntano suggerimenti utili per la ricostruzione di un mondo, quello dell’elaborazione del passato in funzione pubblica nel medioevo, che tocca i vari aspetti dell’evoluzione stessa del rapporto tra l’essere umano e il tempo.
Nei secoli si scrive per difendere o esaltare se stessi o i propri patroni e mecenati; per sostanziare con l’autorità degli esempi del passato un presente convulso e ancora da sedimentare; per giustificare lo status quo o per metterlo in discussione. In ère in cui il tempo appartiene a Dio si scrive di storia per indagare la volontà divina, sondarla, prevederla.
Spesso, scrivere di storia nel passato è stato un atto politico: le opere storiche sono state brandite come clave in contesti in cui c'erano fame di legittimazione e sete di potere.
Chi scrive di passato - nei secoli che fino a non molto tempo fa si ritenevano poveri proprio di storia, e venivano definiti spregiativamente “età di mezzo” - lo fa invece con la consapevolezza di essere inserito nello scorrere del tempo e, da questo punto di vista, spesso è il filosofo che interroga il passato, che interpreta la storia e la tramanda.
NON LEGGETELO se siete affezionatə alla visione romantica degli storici che ricercano “la Verità”: l’unica verità assoluta nello studio del passato è che ognuno ha la propria, di verità.
NON LEGGETELO se credete ancora al Medioevo come un millennio di stasi nello sviluppo umano: più avanza la ricerca storica e più si scopre che in molti campi del sapere “medievale” oggi è più che altro un complimento.
NON LEGGETELO se siete alla ricerca di una risposta netta alla domanda “a che serve la Storia?”: anche in questo, come in tutti i libri utili, a fine lettura sul tappeto rimangono più domande che risposte.
Gli altri passati di letture
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Libri per approfondire
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| Feltrinelli, 2012Di
| Einaudi, 2009Di
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