Il libro che avete in mano vuole allora essere un elogio dell’errore come momento di libertà e di crescita. In ogni caso non possiamo eliminarlo, e quindi impariamo a farne buon uso
Che Einstein fosse un genio lo sappiamo tutti. Magari non conosciamo a menadito la teoria della relatività, ma con quella il mondo è cambiato – il nostro modo di guardare alle cose lo è. Che Einstein fosse, però, anche un gran pasticcione non è un aneddoto che si trova spesso nei libri di scuola. Pensate che a ventisei anni si era avvisato da solo (è bello immaginarsi questa mente eccelsa prendersi un appunto per ricordarsi di non sbagliare): il fisico teorico, scriveva, si può «smarrire» se parte da un presupposto falso o se argomenta in modo errato. E guarda un po’ cosa ti combina dieci anni dopo, quando per far tornare i conti con la sua neonata teoria introduce una costante ad hoc, la costante lambda o cosmologica, che per capirci doveva essere il contrappeso della gravità, che altrimenti scombinava tutti i risultati di Einstein su un universo statico ma soggetto alla relatività.
Spesso si considera la scienza il regno della certezza e della verità. Invece, il dubbio e l’errore sono fondamentali per il progresso del sapere in ogni settore.
Be’, questo non dirà granché a molti, se non che Einstein cadeva, con l’aggiunta della costante cosmologica, in uno degli errori da cui si era messo in guardia: proprio lui partiva da un assunto sbagliato, e cioè che l’universo è statico, quando invece si espande. Quando le scoperte incontrovertibili di Hubble e Lemaître dimostrarono l’espansione, Einstein si affrettò a correggere la propria teoria, e la costante cosmologica divenne zero. Tutto è bene quel che finisce bene, si può pensare: ma se invece più di ottant’anni dopo si fosse scoperto che quella costante era necessaria a spiegare l’accelerazione dell’espansione dell’universo?
Quelle di Piero Martin sono storie – Storie di errori memorabili, appunto (Laterza) –, ma sono soprattutto modi di stare nel mondo. Ci parlano di scienza, perché la vulgata la vuole infallibile, e invece fallisce, non tra gli studenti alle prime armi entusiasti e frettolosi, ma con i grandi, come Einstein o Fermi. La scienza, ci insegnano loro, è fatta di passi avanti straordinari e di altrettanto incredibili passi indietro, e non c’è di che vergognarsi per questo. Il fallimento scientifico, come nella vita, ça va sans dire, può e deve funzionare come propulsione, come ulteriore indagine, senza per questo inficiare l’affidabilità della scienza.
Il metodo scientifico mette in conto gli errori: questi fanno parte della sua struttura, che al rigore affianca un certo atteggiamento nei confronti degli sbagli. È, se vogliamo, un palco inedito su cui va in scena un gesto politico, quello democratico, dove a ogni scoperta – che già di per sé dev’essere rigorosa, culmine di un processo che richiede tempo, studio e competenza – deve seguire una vera e propria decostruzione da parte dei pari perché sia confermata o smentita. E chissà che non ci vogliano anni, o secoli, perché a un certo punto qualcuno inserisca, o tolga, una costante che rivoluziona la prospettiva. Ma ciò su cui Martin ci invita a riflettere è proprio questo: come potrebbero avvenire le rivoluzioni se prima non ci fossero stati gli errori? Se a preparare il terreno per le grandi conquiste dell’umanità non ci fossero state teorie sbagliate, equazioni viziate o scienziati presuntuosi?
L’errore diventa, così, la condizione di possibilità per il progresso. Non esiste scienza senza una svista, un inciampo di cui fare tesoro per poi arrivare a qualcosa di più o meno stabile. Ma Martin ci tiene a dirci, con le sue storie, che per quanto l’essere umano (e forse l’universo intero) tenda a una situazione di equilibrio, nella scienza questo non è possibile. Ci piacerebbe trovare l’equazione per spiegare ogni cosa una volta per tutte, ma lo scienziato onesto deve avere la consapevolezza inversa: qualsiasi sia la teoria, sarà transitoria, e un giorno qualcuno la migliorerà. Di questo possiamo star certi, perché la comunità scientifica lavora a diretto contatto con il motore di tutto: la meraviglia, ciò che spinge l’uomo a guardare lontano e a non farsi spaventare dall’eleganza di nessuna teoria.
Evitare gli errori è un ideale meschino: se non osiamo affrontare problemi che siano così difficili da rendere l’errore quasi inevitabile, non vi sarà allora sviluppo della conoscenza
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