Sapore di sala

I dieci comandamenti compiono 100 anni!

Quando si dice Dieci comandamenti la memoria va al film di Cecil B. DeMille (1881-1959) del 1956, e si profila quella sequenza di Mosè-Charlton Heston che punta il bastone al cielo e apre le acque del Mar Rosso. Un effetto speciale che incantò il popolo del cinema. Quel titolo è il primo grande colossal a colori e ha inaugurato un genere (ultra) frequentato nelle epoche, evolvendosi e diventando quasi stucchevole.

DeMille è stato un grande inventore, basta un fotogramma di un suo film e subito lo riconosci, una prerogativa che appartiene a gente come Ford, Hitchcock, Bergman, Fellini e pochi altri. È stato un vero pittore, elaborava i colori dando alle immagini una irrealtà cercata. Il cinema, diceva, non è la realtà. Intendeva soltanto piacere al pubblico, dargli ciò che voleva.

I Dieci Comandamenti (2 Blu-ray)
I Dieci Comandamenti (2 Blu-ray) Di Cecil B. De Mille

Le vicende degli ebrei in Egitto, la fuga attraverso il Mar Rosso e la consegna delle tavole a Mosè. Rifacimento di "I Dieci Comandamenti" 1923.

Del suo stile diceva: “Tutto deve essere perfetto: l’aspetto degli attori, i costumi, le armi, la natura, gli edifici, i trucchi, la musica, le inquadrature.” È tutto così stilizzato e calligrafico da far invidia al più avanzato dei registi pubblicitari. John Ford riconosceva questa sua capacità, e in un certo senso gliela invidiava. Anche perché DeMille si era imposto come grande narratore del west, con capolavori come La conquista del west del ’36, tre anni prima di Ombre rosse, considerato il titolo fondatore del western, e poi con Gli invincibili e Giubbe rosse, tutti con l’amatissimo Gary Cooper, attore che sarebbe stato perfetto per Ford, che però non chiamò mai per i suoi film. Diceva: “Gary è troppo DeMille, non può essere uno dei miei. E quanto mi dispiace.”

Billy Wilder dedica al regista della Paramount un intervento nel suo Viale del tramonto. Il regista fa sé stesso, impegnato sul set di Sansone e Dalila. DeMille è tornato di moda in questi mesi perché Steven Spielberg, nel suo The Fabelmans, confessa di aver scelto il cinema dopo aver visto, a sei anni, il disastro ferroviario nel film Il più grande spettacolo del mondo, di DeMille.

DeMille approdò alla Paramount che era appena stata creata. In breve tempo manifestò il suo genio di produttore, regista, autore e… macchina da soldi. Divenne il dominus della Casa, lui, unico cattolico in un contesto di ebrei. Attribuiva ai suoi film un preciso valore in quel senso. Ci fu chi disse che il regista era stato un paladino della fede più del papa.

Così, quando nel 1923, cento anni fa, il cineasta decise di realizzare il film più ricco, sfarzoso e costoso di tutti i tempi, la Paramount aderì e concesse un budget da record. Erano tutti sicuri che quel titolo sarebbe diventato leggenda. 

La storia è quella tradizionale tramandata dalle Scritture.

Mosè, ebreo, viene affidato neonato alle acque del Nilo, in un paniere. Viene raccolto dalla figlia sterile del faraone. Cresce come un principe e si distingue a scapito di Ramses, figlio del faraone. Quando viene scoperta la sua origine, Mosè non la rinnega, diventa anzi capo del popolo ebraico, ridotto in schiavitù da trecento anni. Porta via la sua gente dall’Egitto.

Sul monte Sinai ottiene da Dio le tavole dei Comandamenti. Vaga quarant’anni nei deserti prima di arrivare alla Terra Promessa. La saga e il racconto sono davvero nel mito. Quando nel 1956 DeMille diresse il remake continuò a ispirarsi alla prima edizione. Lavorò sul colore del quale, come detto, era gran maestro, il valore supplementare è quello, ma per potenza di immagini, suggestione e contenuti, vale sempre il primo modello

Ci fu chi rimproverava al regista una certa prolissità (quasi quattro ore la durata del film), ma valgono i momenti di alto significato, non solo sul piano delle immagini: Mosè che chiede l’aiuto di Dio nella tempesta, l’incisione delle tavole, le scene d’esodo. Ci sono anche tratti da tragedia greca, seppur fortemente hollywoodiani.

Ma il puro racconto della vicenda biblica non bastò a DeMille, così implementò la vicenda con una storia contemporanea, omologa. I protagonisti erano John e Dan, il primo dedito alle Scritture, umano e generoso, l’altro distratto, viziato e corrotto. Il buono Mosè e il cattivo Ramses. Cecil B. DeMille, il talento che inventava e sorpassava. Appunto.

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