Nel dicembre del 2003 La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana andava in onda per la prima volta in TV. Vent’anni dopo, ha ormai consolidato da tempo il suo status di cult e affresco generazionale dell’Italia della seconda metà del Novecento. Un dramma corale che all’alba del nuovo millennio ha tracciato un bilancio di com’eravamo e come siamo diventati, ma ha saputo anche anticipare la rivoluzione della serialità in un’epoca nella quale la distanza tra cinema e televisione era ancora molto netta.
Attraverso le vicende di due fratelli il racconto degli ultimi 40 anni di storia italiana. Alla fine degli anni '50 Matteo e Nicola, due fratelli, prima delle vacanze conoscono Giorgia, una ragazza psichicamente disturbata. L'incontro li cambierà profondamente portando Nicola a studiare psichiatria e Matteo ad entrare in Polizia.
Il film fluviale di Giordana, della durata complessiva di sei ore, venne trasmesso dalla RAI in quattro puntate, così come era stato inizialmente concepito per il piccolo schermo. Intanto, però, era già divenuto il caso cinematografico dell’anno grazie alla presentazione sorprendente al Festival di Cannes 2003, dove fu accolto con entusiasmo e commozione, nonché premiato come miglior film nella sezione Un Certain Regard. Poche settimane più tardi, l’approdo nelle sale italiane in due parti di tre ore ciascuna ribadiva la possibilità di superare i limiti televisivi, portando con successo una miniserie al cinema e aprendo così la strada a una tendenza che sarebbe diventata comune.
Sulle orme dei modelli di riferimento del cinema italiano del passato, capaci di riavvolgere il nastro della memoria della nazione (da Una vita difficile di Dino Risi, a C’eravamo tanto amati di Ettore Scola, a Novecento di Bernardo Bertolucci), La meglio gioventù ripercorre circa quarant’anni di storia italiana, dall’estate del 1966 alla primavera del 2003. E lo fa attraverso l’unità di misura più rappresentativa del Paese, ovvero la famiglia. Come da tradizione del nostro cinema (da Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti a I pugni in tasca di Marco Bellocchio), anche la saga familiare diretta da Giordana — e scritta da Sandro Petraglia e Stefano Rulli — mette le vicende private in primo piano, lasciando i grandi mutamenti socio-culturali sullo sfondo.
Il nucleo principale della storia è il rapporto tra i fratelli Nicola (Luigi Lo Cascio) e Matteo (Alessio Boni) di una famiglia dell’alta borghesia romana. Nicola è iscritto a Medicina all’università e diventerà psichiatra; Matteo frequenta Lettere ma poi abbandonerà gli studi per entrare in Polizia. Dai caratteri molto diversi, più aperto al mondo e alle relazioni Nicola, più introverso e tormentato Matteo, i loro destini si intrecceranno assieme a quelli dei genitori, le sorelle, gli amici, e tre donne che segneranno l’esistenza di entrambi: Giorgia (Jasmine Trinca), ragazza affetta da problemi psichici e rinchiusa in un istituto; Giulia (Sonia Bergamasco) che sposerà Nicola e avrà una figlia con lui ma finirà poi nelle Brigate Rosse; Mirella (Maya Sansa) che vivrà un amore prima con Matteo e poi con Nicola.
Tra momenti di separazione e di ritrovo, traumi insanabili e accettazione del dolore, le vite dei personaggi proseguono mentre attorno a loro cambia anche l’Italia, dal Sessantotto alla legge Basaglia, dagli anni di piombo fino alle stragi di mafia. E cambia pur restando sempre uguale, immobile, in mano agli stessi dinosauri, per citare il celebre dialogo tra il giovane Nicola e il professore universitario che gli consiglia di andar via dall’Italia («E lei allora, professore, perché rimane?», «Come perché? Mio caro, io sono uno dei dinosauri da distruggere»).
Rimane in fondo la scia di una generazione sconfitta e incompiuta, ma pure uno sguardo di speranza rivolto ai nuovi giovani e affidato nel finale al personaggio di Andrea (Riccardo Scamarcio), figlio in un certo senso di entrambi i fratelli protagonisti. Un ideale passaggio di consegne che rimanda al titolo del film, e dunque all’omonima raccolta di poesie di Pier Paolo Pasolini, e a quei versi sempre meravigliosi e attuali, oggi come allora:
Siamo stanchi di diventare giovani seri, o contenti per forza, o criminali, o nevrotici: vogliamo ridere, essere innocenti, aspettare qualcosa dalla vita, chiedere, ignorare. Non vogliamo essere subito già così sicuri. Non vogliamo essere subito già così senza sogni.
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