Sotto le copertine

I 40 anni di Manni editore: felice Manni-versario!

Il primo libro nel catalogo di una casa editrice dice tanto, se non tutto. Nel caso di Manni Editori, questo volume – pubblicato nel 1984 – è una raccolta intitolata Segni di poesia, Lingua di pace in cui figurano i più importanti poeti della seconda metà del Novecento italiano, da Paolo Volponi ad Andrea Zanzotto, da Luigi Malerba ad Amelia Rosselli, da Elio Pagliarani a Biancamaria Frabotta e Edoardo Sanguineti, solo per citarne alcuni. Proprio di Sanguineti sono i versi che Agnese Manni cita a memoria, pochi istanti dopo aver iniziato la nostra conversazione.

guerra alle guerre è una guerra da andare

lotta di classe è la guerra da fare:

La rapidità con cui li recita ne evidenzia l’urgenza, l’attualità, facendo capire che quelle parole sono e continuano a essere, per lei, un’ispirazione quotidiana. Segni di poesia, Lingua di pace è stato ripubblicato in occasione del trentennale della casa editrice. Scriveva Piero Manni nella prefazione: “Anna Grazia amava e ama la letteratura, io amavo e amo l’impegno civile, ambedue avevamo e abbiamo una fiducia grande nella forza delle idee e delle parole che ne consentono la genesi e l’evoluzione, e ci siam messi a fare gli editori.”

Maremosso: Sono poche righe che contengono tutto.

Agnese Manni:I miei genitori, Anna Grazia D’Oria e Piero Manni, erano entrambi professori (racconta Agnese, oggi a capo della casa editrice leccese). Mia madre insegnava al liceo, mio padre alle medie e in seguito nelle carceri. Avevano entrambi una passione per la politica e – mia madre soprattutto – il pallino della letteratura. Mio padre collaborava con una casa editrice universitaria di Lecce e si era formato in ambito commerciale frequentando librai e librerie. Poi ebbero la fortuna di conoscere Maria Corti e Romano Luperini, con cui pian piano si andò a formare una rete di intellettuali in tutta Italia che portò alla nascita della rivista «L’immaginazione».

MM: La rivista nasce nell’84, proprio come la casa editrice.

AM: Si, ma inizialmente «L’immaginazione» era molto concentrata sul territorio. Parallelamente si inizia quindi a pensare a una serie di pubblicazioni con una visione più ampia, come a volersi sprovincializzare per poi tornare a cambiare le cose in Salento. Nasce così la pubblicazione di Segni di poesia, Lingua di pace, primo titolo del nostro catalogo che testimonia fra le altre cose del rapporto intenso che si era andato a creare con il Gruppo 63 e poi 93.

MM: Dove si tenevano gli incontri in quei primi anni? La casa editrice aveva già una sede?

AM: Certo, era casa mia! Quando parlavamo della “casa editrice”, ci piaceva dire che la casa era il nostro soggiorno, e l’editrice, mia madre. Tutto accadeva dentro casa. I libri arrivavano da noi e i miei genitori facevano i pacchi e li spedivano alle librerie.

MM: La distribuzione era già nazionale?   

AM: Diciamo di sì, nazionale, ma casalinga. Mio padre spediva i libri sia alle librerie indipendenti sia alle catene con cui aveva rapporti diretti, spesso senza riscuotere nulla dalle vendite. Quella della distribuzione si è poi rivelata una questione nodale. Infatti, nonostante una copertura stampa impressionante, (leggendario è l’arrivo a Lecce della grande Grazia Cherchi, che si mise in viaggio per conoscere personalmente questa coppia di editori salentini), i libri faticavano a decollare proprio per un problema di scarsa diffusione. Quindi, dopo una breve esperienza con un consorzio di editori indipendenti, la Piero Manni editori resta in PDE e prosegue con la pubblicazione di tanta poesia, narrativa e saggistica d’inchiesta. L’attenzione civile e politica è sempre stata un aspetto fondamentale per mio padre, di conseguenza il catalogo si è sempre sviluppato sul doppio binario della letteratura e dell’impegno, mantenendo in entrambi gli ambiti l’approccio di una casa editrice militante.

MM: La postfazione citata poco fa si intitolava Potevamo aprire una trattoria tipica, invece abbiamo fatto libri. È una frase meravigliosa.

AM: Suggerisce le tante sfumature di quell’aspetto “casalingo” di cui parlavo poco fa, e che per un periodo ha messo a repentaglio la sopravvivenza non solo della casa editrice, ma anche nostra: il famoso soggiorno iniziò ad avere cedimenti strutturali. Rischiavamo letteralmente di crollare sotto il peso dei libri. E così la Manni Editori trasloca fisicamente e cresce aziendalmente. Con l’ingresso in casa editrice di mia sorella, che è una persona ordinata e rigorosa, diventiamo una Srl. La svolta successiva avviene intorno al 2010-2011, con la crisi dell’editoria. Il fatto è che la nostra era diventata un’azienda “pesante”. In Salento abbiamo lu sole lu mare lu ientu, come si dice, ma purtroppo mancano moltissime professionalità, e noi avevamo formato e assunto tanto personale a tempo indeterminato, affittato un magazzino, acquisito macchinari per la stampa digitale. Per i miei genitori era importante creare lavoro sul territorio ma al tempo stesso iniziavamo ad avere costi da grande casa editrice senza esserlo. E nel frattempo il mondo stava cambiando molto rapidamente. Dovevamo intervenire. Abbiamo deciso di passare da 170 a 50 titoli l’anno, e questo è ancora il nostro assetto attuale.

MM: E tu quando sei entrata? C’è stato un momento in cui hai pensato che non avresti lavorato nell’editoria?

AM: Io sono cresciuta, in casa editrice. Avevo sei anni quando è iniziata l’avventura editoriale ed è dentro a quest’avventura che ho imparato, forse non a camminare, ma sicuramente a leggere e scrivere. Bisognava segnare l’indirizzo di spedizione nel riquadro bianco dell’«Immaginazione» e io mi incaponivo, volevo a tutti i costi fare la mia parte anche se non sapevo ancora scrivere benissimo. Casa nostra era sempre frequentata da scrittori e intellettuali, e tutti i racconti in famiglia ruotavano intorno alla tipografia e al lavoro di redazione. Il lavoro dei miei genitori mi affascinava. Ma al tempo stesso non l’ho vissuta come una scelta obbligata. Mi sono laureata in storia contemporanea e ho accarezzato per un periodo l’idea della carriera universitaria, ma ho capito che avrebbe esasperato certi aspetti solitari del mio carattere. Ho fatto poi un lungo stage al Mulino, lavorando in tutti i settori, così ho capito che quel lavoro mi piaceva davvero. E ho deciso di tornare a Lecce.

MM: Hai quindi iniziato a lavorare sotto la guida dei tuoi genitori. In che ruolo?

AM: I miei mi avevano già fatto capire che sarei stata libera di fare un percorso autonomo. Ho fatto da subito e per diverso tempo un po’ di tutto: mio padre mi portava alle riunioni dell’AIE, correggevo bozze e seguivo la produzione, l’ufficio stampa, il rapporto con gli autori e poi via via la promozione e il commerciale. In sostanza, tutto tranne l’amministrazione. Dopo pochi mesi dal mio arrivo, mio padre ha iniziato a seguire la campagna elettorale di Nichi Vendola – da sempre in casa editrice si tenevano anche i comitati elettorali – e poi si è candidato come consigliere regionale 

MM: In questo modo sei finita in prima linea.

AM: Sì, ma è stato un passaggio di consegne progressivo e sempre basato sul confronto. Ancora oggi, se è vero che sento la responsabilità ultima, le decisioni sono comunque sempre condivise.

MM: A quarant’anni dalla nascita della casa editrice, qual è la tua visione del futuro?

AM: Ti confesso che io mi sento molto legata al mondo del 1984. L’editoria resta un settore lento, in cui avvengono pochi cambiamenti spesso poco rilevanti. Secondo me finirò la mia carriera più o meno in questo modo. Resta l’attività entusiasmante di inventarsi i libri, continuando a tenere le antenne dritte e puntate su ambiti anche lontani dalle mie competenze. Cercare modi di ragionare che tengano conto delle complessità del nostro tempo e le restituiscano in modo chiaro e semplice, in parte anche con una missione divulgatrice.

MM: A proposito di inventarsi libri, puoi dirci cosa bolle in pentola nei prossimi mesi? 

AM: Un titolo che mi entusiasma, che sarò in libreria l’8 marzo, è quello di Enrica Simonetti, Le donne della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che racconta il ruolo delle otto donne che hanno partecipato alla stesura di questo documento fondativo. È un libro per ragazzi, che rientra in un filone di libri che spiegano i diritti civili a giovani lettori e lettrici. Un altro progetto che amo riguarda la poesia, che per me è ricerca e militanza. Nella bellissima collana curata da Antonio Prete, Enrico Testa pubblicherà a maggio Pietre di sosta, un’auto-antologia con una parte di editi e una di inediti oltre a una riflessione filosofica sulla propria poesia. Uscirà poi Lo stato dell’arte di Francesco Erbani, una valutazione in chiave politica sul patrimonio culturale italiano, e da poco in libreria è arrivato Quasi Gol, un libro di Giorgio Simonelli sul rapporto fra calcio e televisione che pubblichiamo in occasione dei 70 anni della Rai.

MM: Parlando di anniversari, cosa prevedono le celebrazioni per i 40 anni di Manni Editori?

AM: Non posso ancora dirti molto, ma una cosa è certa: festeggeremo a casa, a Lecce, come abbiamo fatto anche per i 30 anni, celebrando la nascita della casa editrice e della rivista. E lo faremo sicuramente in compagnia di tanti autori del nostro catalogo.  

MM: Concludiamo come sempre l’intervista con qualche consiglio di lettura.

AM: Ecco, anche da questo punto di vista mi sento molto novecentesca. Amo alcuni autori contemporanei come Carrère o Knausgard, ma se devo dirti i miei libri del cuore, sono Vita Agra di Bianciardi, Memoriale di Volponi, La Ragazza Carla di Pagliarani.

MM: Un film, un disco, una mostra?

AM: La mostra sui CCCP ai Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia, che tra l’altro è stata prorogata fino al 10 marzo! Felicitazioni! CCCP – Fedeli alla linea 1984-2024 celebra i quarant’anni dall’uscita del primo LP attraverso un racconto multidisciplinare con installazioni, fotografie d’archivio, video, costumi di scena, opere d’arte inedite e ambientazioni immersive (ne abbiamo anche parlato in un nostro articolo).

MM: Non posso non notare che siete nati lo stesso anno. Quanta bella energia c’era nell’aria, nel 1984.

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