Lincoln Rhyme is back in town!
Sì, lo sappiamo: siamo in Italia e non esiste concetto che non possa essere adeguatamente espresso nella nostra bella lingua. Eppure, se dicessimo che “Lincoln Rhyme è tornato in città” non renderemmo giustizia all’eccitazione che ci pervade pensando a una nuova avventura di questo eroe sui generis, capace di sopperire ai suoi limiti fisici con la raffinatezza e l’acume delle sue deduzioni. Essere italiani e dire che “Lincoln Rhyme is back in town” è un po’ come… bè, è un po’ come se uno scrittore americano, celebre per la sua capacità di intessere dialoghi taglienti e velocissimi nello slang newyorkese parlato dai suoi personaggi, cominciasse nel bel mezzo di un’intervista a parlare di cucina italiana e di vino direttamente nella lingua di Dante… che (a pensarci bene) è esattamente quel che è successo nel corso della nostra intervista con Jeffery Deaver!
Già, perché la curiosità che contraddistingue ogni narratore autentico non si ferma quasi mai a ciò di cui scrive e Deaver non fa eccezione.
Così capita che nel corso di una chiacchierata su Il visitatore notturno, uscito il 14 settembre in anteprima mondiale per Rizzoli editore, Deaver trovi il modo – un modo garbato ed ironico – di far capire ai suoi intervistatori quanto la cultura gastronomica ed enologica del Belpaese lo affascini: vino, panini e… paté!
Fermi tutti: lo sappiamo.
Il paté non è esattamente uno degli orgogli della cucina italiana, provenendo piuttosto dalle parti dei nostri cugini d’oltralpe. Ma se anche un po’ di paté diventa il pretesto per parlare di business plan per aspiranti scrittori, beh, allora non resta che poggiare il registratore per terra, sgranare gli occhi e disporsi ad imparare qualcosa dalla viva voce di un maestro.
Signore e signori, ecco a voi Jeffery Deaver.
L'INTERVISTA
Ciao, Jeffery. Lincoln Rhyme è tornato! Com’è stato tornare a raccontare le avventure di un personaggio che conosci così profondamente?
Questo è il quindicesimo libro della serie con Lincoln Rhyme e per me è stato come rincontrare un vecchio amico. Sapete, nel mio penultimo libro, che fa parte della serie di Colter Shaw, ho creato un nuovo personaggio, un personaggio che mi piace tantissimo e continuerò certamente a scrivere su di lui. Ma Lincoln Rhyme… beh, è un mio amico! (in italiano- NdR) Mi è piaciuto tantissimo ritrovarlo ne Il visitatore notturno, all’interno della “sua” serie. Nel senso che lui è quel tipo di personaggio brillante che usa la testa per sconfiggere l’avversario, avversario che in questo libro si fa chiamare Locksmith, il Fabbro. Lincoln Rhyme non usa la pistola, non rincorre i criminali, visto che è costretto su una carrozzina. Ed è per questo che è stato fantastico, per me, poter tornare a lavorare su di lui, ricreandolo: un eroe buono che usa il cervello come un’arma per catturare il cattivo di turno.
Il lockdown, con le sue conseguenze di isolamento e chiusura, ha inciso nella storia che ci hai raccontato in The midnight lock?
Io voglio scrivere come se la pandemia fosse un fatto completamente a parte, distante. Questo perché penso che siamo stanchi, non ne possiamo più di questo orrendo virus e non abbiamo nessuna voglia di leggere e sentir parlare ancora di Covid. Tuttavia, credo che la sensazione, di essere claustrofobicamente rinchiusi in una stanza, rinchiusi in un mondo o addirittura in una vita, sia per me molto intrigante e così è nato il Fabbro, un tipo che, per ragioni che si scopriranno nel corso del libro, non sopporta di essere tenuto fuori dalle cose, ha bisogno di entrare dentro le serrature. Non accetta di essere tenuto fuori da quei mondi, mondi che contengono un sacco di cose che lui vuole assolutamente vedere e conoscere. Ma ovviamente non vi posso dire troppo di quello che succede nel libro… deve rimanere un mistero!
Già, e Lincoln Rhyme è costretto ad investigare da solo, perché viene allontanato dalla Polizia di New York… E qui la trama s’infittisce: cosa possiamo raccontare di quel che succede nel libro, Jeffery?
Il visitatore notturno, come tutti i miei libri, ha uno stile decisamente “Deaver” cioè ha un ritmo molto serrato, tutto accade in un paio di giorni circa. Inoltre, ci sono un sacco di curiosità e informazioni sulle serrature. Noi siamo abituati a non considerarle nemmeno, le vediamo dappertutto, senza sapere che per le serrature è alcuni hanno un vero culto! Si tengono addirittura dei ritrovi, con la gente che prova a forzare le serrature a tempo di record. Allora, questo piccolo disco di metallo che ci tiene lontani gli uni dagli altri e che tiene custoditi i nostri segreti è per certi versi una metafora della nostra relazione con il resto del mondo… la famiglia, gli amici, il governo. Qui abbiamo il cattivo, Locksmith, il Fabbro che a notte fonda entra di nascosto nelle case. Ma lui non uccide, quel che lui vuole davvero è “abitare” queste case, questo spazio. E ovviamente quello che succede è che quando i proprietari, quelli che abitano queste case, al mattino si alzano e scoprono che qualcuno si è seduto proprio accanto al loro letto, mangiando panini o un dolce (entrambi i termini sono citati in italiano – NdR) o addirittura bevendo un bicchiere di vino (… e come potrebbe “vino” non essere evocato in italiano? - NdR) rimangono pietrificati, pensano di dover lasciare i loro appartamenti e fuggire, perché c’è qualcuno che ha invaso il loro spazio.
Già, e forse dietro a tutte queste serrature e alla dimensione privata delle storie che racconti, c’è una riflessione più ampia…
Ovviamente, come in tutti i miei libri, non tutto è come sembra. E per il Fabbro c’è molto più del semplice “vedere”. Se andiamo oltre la figura di Locksmith, scopriamo che il romanzo parla anche dell’importanza e dell’integrità dei media. Perché in America - e non è diverso per tutti gli altri Paesi, Italia compresa - in questo momento c’è un grande dibattito e scontro tra i media tradizionali, redatti da giornalisti cui interessa la verità e i media on line, dove le bugie sono all’ordine del giorno. Tutte queste trame - il rapporto tra verità e giornalismo, il mondo folle e a volte psicopatico di blog o reti come Qanon - tutte queste trame si intrecciano e convergono verso un finale a sorpresa. E poi c’è un altro finale a sorpresa e dopo… un terzo finale a sorpresa! Perché, come sanno i miei lettori, mi piace “spingerli”, mi piace sorprenderli e farli sobbalzare sulla sedia. E alla fine di questo libro c’è una sorpresa che li farà veramente saltare sulla sedia.
Una delle cose più interessanti per uno scrittore è forse quella di costringere i personaggi a misurarsi coi propri limiti. Da questo punto di vista, Lincoln Rhyme ha molto da insegnarci…
Esattamente! Per quelli che ci stanno leggendo e che non conoscono bene Rhyme: Lincoln è tetraplegico, è stato colpito nel corso di un’azione, prima ancora dell’inizio della serie, cioè del primo libro, il collezionista di ossa. Rhyme è paralizzato dalla testa in giù e può contare solo sulle sue capacità mentali, sul suo cuore e sul suo cervello. Tutti abbiamo visto i classici film d’azione con Tom Cruise o Bruce Willis, io adoro questi film… a chi non piacciono?! Ma lì l’eroe vince perché è più forte o perché spara meglio, io invece volevo che il mio personaggio avesse la capacità di sconfiggere il suo avversario usando la testa, come fosse una specie di Sherlock Holmes. Certo il mio libro è ambientato a New York, ai nostri giorni, ma Lincoln Rhyme è davvero uno Sherlock Holmes dei giorni nostri. Lui vuole superare le sue limitazioni, vuole andare oltre e per questo diventa una specie di supereroe. E tutti noi a volte siamo capaci di superare i nostri limiti, in modi diversi. Ecco, alla fine Lincoln Rhyme può essere preso a modello come qualcuno che riesce a superare quelle che sembrano limitazioni enormi, ma che francamente sono limitazioni veramente superficiali.
Grazie mille, Jeffery! per concludere la nostra conversazione, ci potresti illustrare brevemente il tuo famoso business plan del dentifricio?
Certamente! Se non sbaglio ho presentato questo mio piano proprio a Milano, all’Università Bocconi, a un gruppo di studenti che frequentavano un Master di Editoria. Il concetto (che a dire il vero è stato accolto con grande entusiasmo) è semplice: immaginiamo di lavorare per una grande azienda di prodotti di largo consumo. Un giorno prendiamo il coraggio a due mani e andiamo dal capo, dicendogli “Ehi, ho una grande idea! Perché non inventiamo un nuovo dentifricio al gusto paté? Sarebbe fortissimo! Ieri sera con mia moglie abbiamo mangiato paté: è veramente squisito! Facciamo questo dentifricio gusto paté! Sarà un successo!”. Ovviamente il mio capo mi licenzierebbe, perché nessuno vuole un dentifricio al sapore di paté. Magari a un cane o a un gatto piacerebbe moltissimo, ma noi stiamo parlando di persone. Il punto è questo: noi siamo scrittori e quello che dobbiamo “produrre” è qualcosa che soddisfi i gusti del nostro pubblico. Non c’è nulla di cui vergognarsi, in questo, perché anche noi produciamo, creiamo, sforniamo “prodotti”.
Il dentifricio risponde a un’esigenza di igiene, i panini rispondono all’esigenza di riempirci lo stomaco all’ora di pranzo, un ristorante di Cracco per esempio soddisfa l’esigenza di gustare una splendida cena gourmet, e coloro che scrivono libri rispondono a bisogni specifici: il bisogno di imparare cose nuove, il desiderio di provare emozioni ma anche il desiderio di evasione, di essere portati via per un po’ dai problemi di ogni giorno… Un prodotto soddisfa un bisogno e il nostro prodotto, il libro, non deve corrispondere alle aspettative di chi scrive ma deve rispondere alle aspettative e i desideri dei lettori. Quindi noi scrittori abbiamo un’enorme responsabilità e dobbiamo sempre domandarci: potrà il mio libro soddisfare le aspettative dei miei lettori? O piuttosto soddisfa le mie? Perché - sai? - io sono un creativo e magari mi piacerebbe scrivere un libro che parla dei poliziotti di New York che si trasformano in zombie… e poi arrivano degli alieni che si mettono a combattere i poliziotti ma i poliziotti sono diventati zombie e gli alieni sono tutti vestiti da infermiere, con quei buffi cappellini bianchi in testa… beh, sarebbe un’idea fantastica, no?! Sì, proprio un’idea fantastica. Peccato però che questa idea non corrisponde per niente al bisogno di un lettore. Che è sempre quello di leggere una storia interessante.
Grazie mille, Jeffery Deaver! L’appuntamento con te e Lincoln Rhyme è per la prossima avventura, dunque.
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