Maurizio Maggiani è un narratore che somiglia alla sua terra.
Una terra non facile, la Lunigiana, ma capace di rivelarsi e regalare lampi di verità a chi sappia scartare dalla via maestra per prendere quello che il poeta Robert Frost chiamava “il sentiero meno battuto”.
Come la Lunigiana si sviluppa attorno al fiume Magra, ad attraversare i libri di Maggiani c’è un grande fiume che è la Storia, con i suoi corsi e ricorsi, con le anse descritte dai cambiamenti e dai grandi eventi e, soprattutto con i personaggi come pesci, a volte trascinati dalla corrente, a volte in direzione ad essa contraria. Ma sempre inquieti e bisognosi di acque ossigenate, in un irrefrenabile anelito di libertà che è il segno più vero delle grandi figure che Maggiani regala ai suoi lettori da tanti anni.
E anche L’eterna gioventù, a dispetto di un titolo che sembra disporne i protagonisti fuori dal tempo della Storia, è un libro capace di dirci molto proprio del tempo e del modo in cui questa “sabbia da clessidra” scorre più lenta attorno alle grandi, luminose idee di alcuni. Assieme a Maggiani noi abbiamo voluto parlare de L’eterna gioventù e di tutte quelle idee e quelle lotte che - prima di diventare materia per la grande letteratura - sono l’ossigeno che rende più vive e limpide le acque in cui nuotiamo. Tutti.
Questa è una storia leggendaria, il mito di una dinastia di ribelli ostinati in un sogno. Una storia di eterna rivolta, di vite che si intrecciano e si confondono con la Storia. Una storia di molte vite e infinite gesta, vite che non hanno avuto voce.
Il risorgimento ha ancora bisogno di essere narrato. Nonostante sia un periodo fondante della nostra storia, e a dispetto della sua relativa vicinanza nel tempo, spesso si ha l’impressione che, nell’Italia di oggi, il risorgimento sia vittima di un malinteso, o che non lo si sappia amare nel modo giusto. Perché?
Il risorgimento italiano è stata una rivoluzione durata cinquant’anni, dominata dalle idee repubblicane mazziniane; nel mondo il Rinascimento è conosciuto infatti come la Grande rivoluzione italiana del XIX secolo. Quella rivoluzione è stata sconfitta, il regno d’Italia è nato appropriandosi delle sue conquiste e ha prima combattuto e poi cancellato i suoi ideali costruendo una retorica, fatta propria poi dal fascismo, che è rimasta poi come storia sui libri di testo scolastici. quello che noi impariamo del Risorgimento a scuola è ciò che i Savoia prima e Mussolini poi hanno voluto ne fosse ricordato.
La canarina è “l’essere umano più antico del mondo”: memoria fattasi carne, questa donna porta in sé l’intero “secolo breve”. Come nasce, nella sua fantasia di narratore, questo personaggio che a volte sembra portare in sé una eco degli abitanti della Macondo di Gabriel Garcia Marquez?
In verità non nasce tutto dalla mia fantasia. Secondo me, che io me ne sia accorto oppure no, Marquez ci ha messo lo zampino, è troppo bella, troppo intensa e troppo giusta la sua Macondo perché io non possa esserne stato influenzato. E se è così non c’è niente di cui vergognarsi, ai narratori succede di continuare storie seguendo l’eco di altre storie; anche Omero ha raccontato di personaggi già raccontati.
“L’allegria è una conquista. E noi abbiamo lottato, per la nostra allegria?”. È una domanda che troviamo nel romanzo, ma che sembrerebbe interrogare il nostro tempo. Dovesse sentirsela rivolgere, lei, cosa risponderebbe?
Io ho lottato per la mia allegria e per l’allegria del mondo, e come me un’infinità di umani nel mondo. Quest’epoca pare un tempo senza allegria, un tempo di mestizia, un tempo di sconfitta, allora vuol dire che ho smesso di lottare, e non lo sto facendo come dovrei. Il fatto che io viva in allegria, ed è in certi momenti verità, vuol dire solo che non ho saputo vivere nel mondo con la stessa determinazione con cui vivo i miei sentimenti. Devo rimettermi in marcia, devo cominciare ancora una volta la lotta senza fine in nome della vita. So che posso farlo anche alla mia età.
Il Novecento è stato il secolo delle ideologie: ma l’anarchia – forse anche in ragione di quella “A” privativa e quindi del suo esistere come idea in via di negazione - è ancora oggi un fenomeno storico difficile da inquadrare nella sua interezza. Lei, figlio di una terra che con l’anarchia intrattiene storicamente un rapporto stretto, quale ritiene sia il lascito più importante degli anarchici di cui racconta nel libro?
L’anarchia non è un’ideologia, è un’idea, un’idea che si è fatta Ideale: per dirla come mio nonno analfabeta me la spiegava, l’Anarchia vuol dire che siamo tutti uguali, non perché siamo tutti servi, ma perché siamo tutti signori. La signorilità, la grandezza d’animo che ti spinge a vivere la vita pienamente sapendo che non sarà mai compiuta finché un qualche potere ti soverchia, e questo non accadrà in questo mondo, ma in un mondo nuovo per mano di un’umanità nuova, “redenta” direbbero assieme agli anarchici i credenti, ecco, questo è il lascito più vivo. So che non vedrò il mondo nuovo, ma so che la mia vita può essere uno dei miliardi di mattoni necessari a costruirlo.
Quella che tesse in “L’eterna gioventù” è un’elegia alla rivolta libertaria, lo spirito che ha animato buona parte del “secolo breve” più lungo che la Storia ricordi. Da dove partire, oggi che il Novecento, almeno da un punto di vista cronologico, è archiviato da più di vent’anni, per ricostruire nella lotta un “noi” credibile e duraturo?
Dal riconoscerci in un noi. Nel ricostituire le reti che ci tengono assieme. La più grande vittoria dell’ideologia neoliberista che domina il nostro mondo è stata proprio la distruzione di quelle reti. E nel mio specifico, la distruzione della storia condivisa, delle storie, delle parole evocanti, che ci hanno tenuti assieme e che hanno edificato i nostri ideali, condividendo un destino comune. Riprendiamoci dunque le nostre parole, le nostre storie, riedifichiamo dalle macerie.
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