Nel 1974, il fotoreporter italiano Elio Vergati si aggiudicò il secondo posto al premio Pulitzer con una drammatica fotografia che aveva fatto il giro del mondo, scattata il 17 dicembre dell’anno precedente nel pieno di un attentato all’aeroporto Leonardo Da Vinci di Roma, dove Vergati stazionava spesso per riprendere politici, divi del cinema e altri vip che salivano e scendevano dalle scalette degli aerei.
Lo scatto coglie uno scorcio della pista, il cadavere del finanziere Antonio Zara steso a terra sotto il colossale motore dell’ala dell’aereo Lufthansa che un commando terroristico palestinese si accinge a dirottare dopo aver preso d’assalto un Boeing 707 con armi e bombe a mano, mentre a breve distanza uno degli attentatori, pistola in pugno, spinge avanti due ostaggi. Zara, ucciso mentre cercava di fermare gli attentatori, è una delle 32 vittime, di cui sei italiane (con il giovane finanziere, tre componenti della famiglia De Angelis, Giuliano, Emma e la loro figlioletta Monica, l’ingegner Raffaele Narciso e il tecnico della compagnia di servizi aeroportuali Domenico Ippoliti, preso in ostaggio a Roma e ucciso poco dopo ad Atene) della cosiddetta “strage di Fiumicino”, parte di una cruenta stagione di dirottamenti e attacchi clamorosi finalizzati a imporre la questione palestinese all’attenzione mondiale: il commando che colpisce a Roma, inizialmente attribuito a “Settembre nero”, così chiamato in omaggio all’eccidio degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco nel settembre ’72, era composto da ex appartenenti dell’organizzazione palestinese Al Fatah.
Nonostante l’alto numero di vittime e la foto celebre, questa strage è sprofondata nell’oblio (al punto che sul web compare spesso un numero di vittime sbagliato). Un oblio probabilmente dovuto al fatto che l’eccidio si collega a vicende politicamente urticanti, ricostruite in modo compiuto solo in anni recenti.
I terroristi riuscirono a fuggire caricando sull’aereo alcuni ostaggi, in cambio dei quali ottennero di atterrare in Kuwait ed essere consegnati all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), che li sottopose a un processo interno, davanti a un tribunale presso il Cairo. L’Italia non ne chiese la consegna, né allora, né poi, quasi certamente per ragioni di opportunità politica.
Il governo italiano, infatti, per motivi d’interesse economico e strategico, intratteneva speciali rapporti diplomatici con il mondo palestinese. In particolare, proprio in quegli anni stipula con le sue principali sigle – in forma riservatissima - un “lodo”, ovvero un accordo, di non belligeranza che garantiva il libero transito di armi e uomini dei gruppi palestinesi sul suolo italiano, purché non compissero attentati. L’accordo è negoziato da principio grazie alla mediazione del colonnello dei servizi segreti Stefano Giovannone, con Mariano Rumor premier e Aldo Moro Ministro degli Esteri. Per questo Cossiga, quando ne parlò in pubblico la prima volta, lo chiamò “lodo Moro”: denominazione a dir poco ingenerosa, perché scaricava sulle spalle del politico defunto il peso di un accordo che in nome della ragion di Stato violava il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale e – mors tua vita mea – lasciava i terroristi liberi di colpire altrove. Invece, come ha ben ricostruito di recente la storica Valentine Lomellini nel libro Il «lodo Moro». Terrorismo e ragion di Stato 1969-1986 sulla scorta di abbondantissima documentazione, fu un vero e proprio “lodo Italia”, condiviso dalle massime autorità di governo e interessò, oltre ai terroristi palestinesi, gli “Stati santuario” che li proteggevano, come Libia e Iraq. Una linea spregiudicata di trattativa coi terroristi seguita, peraltro, anche da altri Paesi europei, all’epoca.
Del “lodo” si cominciò a parlare solo negli anni Duemila, suggerendo che la strage di Bologna del 2 agosto 1980 fosse stata una ritorsione per l’arresto di un militante nel 1979. Tesi cara alle difese dei terroristi neri ancora sotto processo, oltre che ai simpatizzanti dei Nar già condannati, protetti e – secondo le più recenti ricostruzioni – foraggiati dalla P2. La “pista palestinese”, però, già smontata in sede giudiziaria, non trova sostegno nemmeno nelle più recenti ricostruzioni storiche del “lodo”. L’accordo resse, trasformandosi e adattandosi al contesto internazionale, almeno fino al 1985 quando, di nuovo a dicembre, ma il giorno 27, avvenne la seconda strage di Fiumicino, fotografata ancora una volta – fatalità – da Vergati. Strage per cui fu condannato come mandante, il terrorista palestinese, già espulso dall’Olp, Abu Nidal.
Lo scorso 13 dicembre, in risposta all’accorata richiesta della madre 99enne di Graziella De Palo, giornalista freelance scomparsa in Libano nell’estate del 1980 mentre insieme al collega Italo Toni indagava proprio su traffici d’armi coinvolgenti i servizi segreti, la premier Meloni ha incaricato il sottosegretario con delega ai Servizi Alfredo Mantovano a “far completare la desecretazione dei documenti restanti, pur se non direttamente collegati” alla scomparsa di Graziella: forse emergeranno altri documenti sul famigerato accordo.
Di
| Laterza, 2022Di
| Rubbettino, 2010Ti potrebbero interessare
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