Compie sessant’anni oggi lo scrittore americano Bret Easton Ellis.
Scrittore, sceneggiatore, autore di podcast e – quasi – regista, Easton Ellis rappresenta uno dei simboli della Generazione X americana – quella cresciuta negli anni 1980 e un po’ troppo nostalgica - ed è uno degli scrittori più celebrati e discussi degli ultimi decenni. Perché lui le cose le pensa le dice, le scrive, senza interessarsi molto delle conseguenze.
Segnalato dalla Rivista Studio tra le 10 migliori letture dell'anno 2019: «Suscitare ammirazione e risentimento nella stessa misura, se non è un libro dell’anno questo, difficilmente può esserlo qualcos’altro.»
Nato a Los Angeles il 7 marzo 1964, il giovane Bret passa un’infanzia e un’adolescenza un po’ travagliata: i genitori si separano in maniera burrascosa quando è alle superiori, il padre alcolista esercita su di lui un’influenza negativa che lo porterà a trasferirsi, subito dopo il diploma, nel Vermont dove frequenterà il Bennington College.
Breston Ellis nel Vermont può esercitare finalmente quella libertà a lungo ricercata e bramata – sessuale, intellettuale, letteraria -; frequenta un corso di scrittura creativa ed è incoraggiato dal professore Joe McGinniss (poi autore di Fatal Vision).
Ha 29 anni quando pubblica il suo primo romanzo: Less Than Zero, in italiano Meno di Zero, manifesto e acquerello di una generazione che Fernanda Pivano definirà la nuova perduta: nessun obiettivo, ambizione o aspirazione. Solo la regola di prendersi ciò che si vuole.
«Cos'è giusto? Se si vuole una cosa è giusto prendersela. Se si vuole fare una cosa è giusto farla.» Sesso facile, cocaina, feste sempre più trasgressive, auto di lusso, rock a tutto volume: a Los Angeles i giovanissimi che frequentano l'ambiente patinato degli studios cinematografici hanno tutto e non desiderano più niente.
Un po’ il pensiero che sottende la sua visione della Generazione X (coloro nati indicativamente fra il 1965 e il 1980): una generazione che, a differenza della successiva, quella dei Millennials da Easton Ellis molto criticati, non aveva bisogno di essere lodata, o compatita. Solo dipinta esattamente com’era: confusa, e allo stesso tempo sicurissima di sé.
Segue nel 1987 Le regole dell’attrazione, e poi arriva il successo internazionale e la consacrazione con American Psycho nel 1991: Patrick Bateman, un giovane yuppie newyorkese, conduce un’esistenza in bilico fra soldi, lavoro e un’apparenza di regolarità e picchi di follia omicida e sanguinosa.
In quel momento Breston Ellis si è laureato e vive a New York, cercando un posto e uno spazio in una viva da adulto che non vuole e che non gli piace: scrive e guadagna dai suoi libri, vive in un appartamento a Manhattan, ma si sente estraneo, lontano. È l’America della fine degli anni Ottanta, consumismo alle stelle e Ronald Regan alla sua massimo potenza.
Patrick Bateman è giovane, bello, ricco. Vive a Manhattan, lavora a Wall Street, e con i colleghi Timothy Price, David Van Patten e Craig McDermott frequenta i locali più alla moda, le palestre più esclusive e le toilette dove gira la miglior cocaina della città, discutendo di nuovi ristoranti, cameriere corpoduro ed eleganza maschile.
Un eccesso, forse, ma più che necessario.
Nel 1999 è il turno di Glamorama, nel 2005 Lunar Park, in cui ritroviamo Patrick Bateman.
Poi Imperial Beedroms nel 2010 e il silenzio per molti anni, che Breston Ellis riempie con tweet al vetriolo che per diversi anni furono al centro delle critiche – l’avversione sua verso il politicamente corretto non è una novità – un podcast, una web serie, un memoir autobiografio: Bianco.
Ne passano tredici dal suo ritorno sulle scene con Le schegge (qui trovi la nostra recensione del titolo), romanzo di grande successo con un forte elemento autobiografico: è lo scrittore stesso a rivelare che gli eventi narrati sono quelli della sua adolescenza – il protagonista si chiama proprio Bret – e l’idea di questo romanzo gli era venuta ancor prima di Meno di Zero; la trama, l’arco narrativo e tutto il resto sono rimasti sopiti nella sua mente per quarant’anni.
Nell’autunno del 1981, la vita di un gruppo di diciassettenni californiani che frequentano l’elitaria Buckley School viene sconvolta dall’arrivo di un ragazzo tanto affascinante quanto disturbato e perverso. Cosa nasconde Robert Mallory, e qual è il suo legame con il serial killer che sta imperversando in città?
Le schegge ci riporta in quella Los Angeles degli anni Ottanta in cui Easton Ellis è cresciuto: torbida, dissoluta, oggetto di consumo per quegli anni velocissimi. Un’opera di autofiction in cui assaporiamo di nuovo il brivido di trovarsi sul limite e non sapere da che parte lasciarsi cadere.
Bret Easton Ellis afferma che questo è stato il suo ultimo libro – lo aveva detto anche dei precedenti. Noi non gli crediamo, perché voci come la sua sono quelle di cui abbiamo bisogno – quando ci piacciono, ma anche quando no – per mantenere quella vivacità intellettuale, quell’altissimo livello di metanarrazione che dovrebbe essere d’insegnamento per tutti coloro che nel loro futuro scorgono una pagina di libro.
Buon compleanno!
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