Silvio Berlusconi ha candidato a sorpresa la nota ex presentatrice televisiva Rita Dalla Chiesa con Forza Italia alle prossime elezioni, in un collegio pugliese “sicuro”. Per questa ragione i vertici Rai, in ossequio ai severi e macchinosi vincoli del regolamento sulla par condicio pre-elettorale, hanno deciso di rimandare a dopo le elezioni la messa in onda della fiction dedicata a suo padre (con Sergio Castellitto nei panni del protagonista), il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, figura-simbolo della lotta al terrorismo rosso e alla mafia, in origine prevista in occasione del quarantesimo anniversario del suo omicidio – che ricorre domani, 3 settembre 2022 – per mano di Cosa Nostra in via Carini a Palermo, assieme alla seconda moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo, pochi mesi dopo essere stato nominato prefetto di Palermo col compito dichiarato di combattere la mafia così come aveva fatto col terrorismo rosso negli anni precedenti, diventando una figura-simbolo.
Vi propongo allora di impiegare il tempo che avreste magari passato davanti alla TV leggendo, o rileggendo, Delitto imperfetto, il saggio-memoir scritto da Nando Dalla Chiesa, figlio del generale e fratello di Rita, a tutt’oggi il libro più bello e più importante su questa storia terribile (il prossimo 9 settembre uscirà con Laterza una biografia del generale a firma dello storico Vittorio Coco: stay tuned, magari ne parleremo su Passato di letture). Pubblicato per la prima volta nel 1984 in Francia, per ragioni di sicurezza, e solo dopo in Italia, grazie all’interessamento di Corrado Stajano e Giulio Bollati, Delitto imperfetto divenne poi un bestseller da 250.000 copie, nonostante la censura di fatto imposta dalla Rai e non solo. Costò all’allora trentenne sociologo Nando pesantissime accuse e una feroce campagna denigratoria, perché ricostruiva, in maniera chiara e implacabile, facendo nomi e cognomi, la solitudine in cui il generale fu lasciato a Palermo, senza garantirgli, nei fatti, mezzi adeguati al compito dichiarato di combattere Cosa Nostra, il contesto politico, sociale e mediatico in cui maturò il suo omicidio, e il quadro dei mandanti politici e morali del delitto, tra cui spiccavano, appunto, i sodali del divo Giulio (che non partecipò nemmeno ai funerali). Un libro chiaro, inesorabile, ancor oggi sconcertante. Un libro che fa male.
Rita Dalla Chiesa ha sempre condiviso col fratello la convinzione che il padre sia stato vittima di un delitto politico.
In un’intervista televisiva del 2021 con Peter Gomez, ribadiva in modo netto la convinzione che il mandante fosse stato un esponente della DC siciliana molto vicino a Giulio Andreotti. Citava persino un passo del diario del padre, in cui il generale raccontava un colloquio con Andreotti, ovvero colui che da premier, nell’estate 1978, dopo l’uccisione di Moro, gli aveva affidato la guida di un Nucleo speciale antiterrorismo operativo su tutto il territorio nazionale, in cui questi lo avvertiva che chi si metteva contro la sua corrente in Sicilia «tornava con i piedi dalla porta» (il diario fu infatti tra le evidenze che portarono al rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa del sette volte presidente del consiglio).
Nella stessa intervista, tuttavia, quando Gomez le chiedeva di esprimersi sulla condanna in via definitiva per associazione mafiosa di Marcello Dell’Utri, storico braccio destro del suo amico ed ex datore di lavoro Silvio Berlusconi, nonché padre fondatore, prima febbrile organizzatore e poi deputato e senatore per tre legislature di Forza Italia, il suo stesso partito, si limitava a replicare: «Sa che forse in questa mia immensa ingenuità io non ci ho mai voluto credere a questa cosa... Mi farebbe troppo male sapere che magari può essere vera» – alludendo, chiaramente, alla prospettiva che il Cavaliere sapesse fin troppo bene chi fosse e cosa facesse un collaboratore strettissimo come Dell’Utri: difatti subito dopo attacca a parlare di «tutti i processi in cui è stato assolto», il Cavaliere, s’intende – senza ricordarne le condanne. E senza rispondere sull’evidenza dell’accertata collusione mafiosa di Dell’Utri.
Sarebbe interessante tornare a porle oggi la stessa domanda.
Nel 2007, nell’introduzione per la ristampa con Melampo, Nando rilevava nel Paese «un’ansia di rimuovere; di dire che una cosa non è possibile perché, se fosse vera, sarebbe deturpante per la nostra pubblica storia». Purtroppo, però, continuava: «le cose brutte sono ben avvenute». E nessuno – non i cittadini, né tantomeno i candidati al Parlamento – a dispetto della fatica e del dolore che comporta, dovrebbe limitarsi a distogliere lo sguardo o invocare l’ingenuità.
Suggerimento: leggete anche la nostra intervista con Attilio Bolzoni a proposito del suo libro Uomini soli.
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