Mercoledì 18 maggio
Questa è una storia dimenticata, ma che torna di attualità, come in un gioco di specchi.
Josif Stalin aveva un figlio, di nome Jakov, dalla sua prima moglie, che abbandonò per dedicarsi completamente alla rivoluzione. Jakov conobbe il padre solo all’età di tredici anni e i rapporti tra i due non furono assolutamente facili; il giovane era di carattere sensibile e soffriva di depressione, che lo spinse a tentare il suicidio con un colpo di pistola; fu salvato dai medici del Cremlino. Il padre non lo protesse, anzi, nel 1941 volle che fosse mandato al fronte a fronteggiare l’avanzata dell’esercito tedesco che aveva – inaspettatamente? – invaso l’Urss.
Il tenente Jakov Dhzugashvili venne catturato nelle prime fasi dell’avanzata tedesca in quella che oggi è la Bielorussia; e naturalmente Hitler si rese conto subito di avere un “pesce grosso” per le mani e la propaganda di Berlino fece in modo di far sapere al mondo della sua cattura; furono pubblicate fotografie dell’ufficiale e venne reso noto che il soldato Jakov non condivideva le idee politiche del padre; e che era trattato con tutto rispetto.
Passarono due anni terribili di guerra, fino a quando, nel gennaio 1943, alle porte di Stalingrado, la Wehrmacht si arrese all’Armata Rossa e addirittura il mitico generale Von Paulus fu fatto prigioniero, insieme al suo Stato Maggiore. A questo punto Hitler – che aveva promesso al popolo tedesco di riportare Von Paulus a casa – propose lo scambio di prigionieri tra il figlio di Stalin e il suo generalissimo. Al che Stalin rispose, sprezzante: “Che stupidaggine! Non si è mai visto scambiare un tenente con un generale”. (La scena venne ricordata in decine di film sovietici di celebrazione della vittoria, e ogni volta in sala il pubblico si alzava in piedi ad applaudire).
Jakov Dhzugashvili venne portato nel campo di concentramento di Sachenshausen (Germania), dove, in un imprecisato giorno del 1944 si lanciò contro il reticolato elettrificato del campo, morendo; non si sa se in un tentativo di fuga, o di suicidio.
La storia non finisce qui. Stalin morì nel 1953. Tre anni dopo, nel famoso “Ventesimo Congresso” del 1956, Nikita Krusciov raccontò tutte le nequizie che il suo predecessore aveva compiuto, soprattutto durante la guerra.
Ed è questo il tema che ci avvicina all’oggi – a Mariupol e a Putin – e di cui vi racconterò domani.
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