“La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragione d’essere”
Voi tutti che siete curiosi di Franco Basaglia, potete chiudere questa pagina e cercare altrove.
Non è oggi, nel centenario della nascita di Basaglia, l’occasione per celebrare il padre dell’antipsichiatria italiana.
Il giorno in cui aprire i propri cuori come i cancelli dell’istituzione oscurantista che Basaglia riuscì ad archiviare cadrà il 13 maggio 2158.
Già. Quel giorno saranno passati 180 anni dalla promulgazione della Legge alla quale Basaglia è universalmente associato e che resta ancor oggi la pietra angolare attorno alla quale si è strutturata tutta la successiva cura del paziente psichiatrico. 180 volte 180: un augurio che oggi, nel centenario della nascita del suo principale (ma non unico) promotore, vuole sottolineare come anche una rivoluzione sociale apparentemente impossibile possa diventare realtà, se preceduta da una rivoluzione culturale.
«Come camminerebbe mio padre ora, con cent’anni appoggiati sulle spalle? Sarebbe ancora dritto, questo lo so.»
Ma potremmo segnarci anche un’altra data, tanto si trova un filo più in là di quella che celebriamo oggi, appena girato l’angolo della settimana: il 16 marzo prossimo ricorrerà il primo anniversario della scomparsa di Franco Rotelli, che di Basaglia fu il principale collaboratore e della sua opera il continuatore designato.
Rotelli è stato un gigante della psichiatria, il tralcio di una vite meravigliosa che trapiantata a Trieste mise frutti in tutt’Italia e nel mondo.
E poi, oltre ai due "Franchi" Basaglia e Rotelli, c'è una terza Franca: Franca Ongaro, compagna e moglie di Basaglia e della cui scomparsa fra pochi mesi si celebrerà il ventennale.
Insomma, dovremmo pensare a queste figure - e alle tante di cui inevitabilmente non potremo dar conto in questo breve articolo - come ai cittadini più illustri di quella che Basaglia stesso definì "La Repubblica dei matti": una comunità che nel suo non essere mai stata mappata prima, poneva ("poneva"? "pone", sarebbe più appropriato) domande alla società italiana nel suo intero.
E dalla quale anche noi non dovremo dirci alieni, se è vero che "da vicino nessuno è normale".
John Foot ricostruisce questa complessa vicenda con appassionato rigore storico, documentando non solo i successi e i fallimenti ma anche le feroci controversie (esterne e interne) che inevitabilmente l'accompagnarono. E che ancora non si sono spente.
"Alieni", "Matti", "Normale"... Già: quella di Basaglia è stata anche e forse soprattutto l'opera di un linguista sotto mentite spoglie.
Il lavoro incessante su un lessico che - intuizione formidabile - era stato fino ad allora soprattutto una leva di potere, uno strumento di legittimazione di alcune pratiche e di delegittimazione di altre. Un modo per statuire, con violenza, dove passasse il confine fra il "dentro" e il "fuori".
L'esperienza Basagliana è stata e rimane ancor oggi un'esperienza di riappropriazione linguistica. Un laboratorio aperto che oggi chiede di essere riletto e aggiornato.
La condizione dell'essere umano contemporaneo è una condizione di grande sofferenza. Lungi dall'essere venuti a capo delle nostre nevrosi, incistati in un'era in cui la tecnica ha preso il posto del trascendente, abbiamo un gran bisogno di riprendere a porci (e porre) le domande giuste. Proprio come fecero Basaglia e i "suoi", a partire dal manicomio di Gorizia e dalla vulgata triestina.
Già: quella fu una rivoluzione sociale e culturale che ancor oggi, cinquant’anni dopo l’affermazione della Legge 180, continua a porre domande più di quanto non prometta risposte.
Qual è la condizione profonda del malato psichiatrico, all’interno della società che si incarica di stabilire i confini di quella malattia e dirla tale?
Qual è il valore della cura? Come fare a trasformare un’istituzione pensata per contenere in uno spazio “poroso”, interfaccia attraversabile in entrambe le direzioni fra ciò che sta dentro e ciò che sta fuori?
Questa antologia raccoglie alcuni dei più importanti contributi di Franco Basaglia.
Franco Basaglia capiva benissimo quanto l’istituzione psichiatrica sia un amplificatore, per molti versi.
Perché il modo in cui la società interpreta la malattia psichiatrica restituisce, amplificandolo, il modo in cui pensa sé stessa
A partire dalle risposte che al tema della malattia fornisce. Il manicomio, sin dall’etimologia senza speranza che sottende la parola stessa, è una risposta tremenda, sintomo di una società che ha paura di specchiarsi nella malattia psichiatrica e quindi la rimuove, la pone “dietro” il muro come un bambino che, nascondendo la faccia dietro le mani, pretenda di essere invisibile agli altri.
E non c’è rivoluzione che non muova con sé anche le parole, mettendo in discussione il modo in cui le etimologie e i significati finiscono per tradire le intenzioni di chi le usa per stabilire un dominio.
Società, movimenti, istituzione, follia, corpo: ecco le cinque direttrici cardinali che l’illustrazione posta in copertina di un recente saggio a quattro mani dedicato a Basaglia sovrappone al viso senza lineamenti del protagonista.
Che cosa rappresentano oggi Franco Basaglia e la storia della deistituzionalizzazione in Italia e nel mondo? Qual è, oggi, la ricezione del suo pensiero e dell’esperienza di trasformazione da lui promossa? Quali riflessi sono rintracciabili nella cultura critica dei nostri giorni nel campo della salute mentale e, soprattutto, al di fuori di questo?
Di società, follia e istituzione in parte abbiamo detto, ma questo nostro breve omaggio a una figura la cui importanza è impossibile sopravvalutare non sarebbe completo se non dedicassimo qualche riga anche a corpo e movimenti. Non è forse un caso che due concetti tanto intrinsecamente legati appaiano qui assieme.
Il corpo non è soltanto quello del malato, che l'istituzione contiene dietro i muri e che cerca di neutralizzare attraverso pratiche sempre agite via negationis: è anche il corpo sociale all'interno del quale il malato s'inserisce a pieno titolo, e che solo può accogliere e curare, offrendo un contesto non normativo, ma dialogante.
Si tratta di una delle ultime occasioni di riflessione pubblica di Basaglia sul significato complessivo dell'impresa della sua vita, una sorta di testamento intellettuale e un bilancio critico sulla psichiatria all'indomani della "legge 180"
E infine il movimento, che da Trieste e da tutti coloro che a quella straordinaria esperienza presero parte e contribuirono, irradia la sua aura fino a noi, chiedendoci di continuare quel che Basaglia intuiva essere un inizio e non un compimento. Movimento perché non c'è persona, per illuminata e capace che sia, che possa da sola far germogliare i semi di una intuizione.
Movimento, perché nel principio di moto perpetuo che ogni autentica rivoluzione sottende, c'è il continuo verificare e aggiornare una posizione - quella dell'antipsichiatria - che non può non registrare i mutamenti della società in seno alla quale si esprime. Fornendo risposte adeguate.
Movimento, infine, perché Basaglia ha passato in corsa un testimone, che noi a nostra volta abbiamo il dovere di trasmettere per via pedagogica a quelli che dovranno misurarsi, domani, con le stesse domande cui lui ha cercato di dare risposte.
Non fosse che per quello di cui abbiamo parlato, oggi è una giornata da celebrare.
Ma nel solo modo in cui Basaglia avrebbe voluto la si celebrasse: chiudiamo questa pagina e andiamo in giro a porre domande.
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