Mercoledì 27 luglio
Dieci anni fa, a Sidi Bouzid, un polveroso grumo di case in Tunisia, lontano da ogni grande città, cinquantamila abitanti, noto ai cultori della materia perché nel 1943 ci fu un’epica battaglia di carri armati americani e tedeschi, un giovane venditore ambulante di frutta e verdura, vessato dalla polizia cui non voleva pagare il pizzo, si diede fuoco per protesta sulle scale del municipio.
Le foto del suo rogo comparvero su Facebook e Twitter, la televisione Al Jazeera gli dedicò molto spazio.
E fu così, con il suicidio di Mohamed Bouazizi, che partirono le “primavere arabe”; la Tunisia, il paese più ricco di storia democratica del Nord Africa, si rivoltò contro il suo padre padrone, il presidente Ben Ali, al potere da 23 anni in nome del “socialismo” del suo predecessore Bourghiba.
L’esempio tunisino dilagò in Egitto, in Libia, in Siria, nello Yemen; per la prima volta, l’arab street (così erano chiamate dai colonialisti inglesi le periodiche rivolte arabe, manovrate dal rais di turno), mostrò una faccia nuova ed epocale: una gioventù più istruita delle generazioni precedenti si affacciò sulla scena del mondo e Facebook gli stava dando una mano.
Si pensò che davvero le primavere avrebbero cambiato il mondo, o almeno il Medioriente.
Come le primavere andarono a finire, lo sapete già; ma restava ancora in piedi un laboratorio di democrazia a Tunisi – partiti, parlamento, stampa libera e addirittura la faccia del martire Mohammed Bouazizi stampata sulle banconote da un dinaro.
Ebbene, martedì scorso, anche la Tunisia è caduta.
Dopo dieci anni di instabilità politica, di continue crisi economiche, di insorgenze islamiste radicali e con un Covid che ha colpito molto duro, l’ultimo presidente, Kais Saied ha indetto un referendum volto a dargli i pieni poteri. E l’ha vinto, con il 94,50 dei voti, ma solo il 27 per cento di affluenza alle urne. Con questo risultato, Saied ha praticamente dissolto il parlamento, messo la magistratura sotto il suo potere, limitato la libertà di stampa. Saied ha promesso che batterà la corruzione imperante.
Ci vediamo la primavera prossima. Se ci sarà.
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