Il venerdì Cerati ridiventava l’umile venditore: «Sto rastrellando Milano libreria per libreria».
Sono alcune delle parole con cui Corrado Stajano nel suo Destini ha ricordato Roberto Cerati. Quelle poche pagine, molto dense, e molto simpatetiche, raccontano un pezzo di un mestiere (ma soprattutto raccontano un modo di viverlo) che forse oggi sembra “primitivo”, “artigianale”, “preindustriale”. Meglio: “arcaico”.
Eppure, al centro, stava una ben precisa modalità di pensare il “mercato del libro” da parte di uno che vedeva il suo compito – occuparsi della rete commerciale di vendita – come «tutela del catalogo». Curare il libro, non mandarlo verso un binario morto, ovvero nel dimenticatoio. Voleva dire prima di tutto preoccuparsi della qualità, e poi fare in modo che quella qualità fosse “cura delle persone”. Ma voleva dire anche pensare ai libri come strumenti: leggerli significava formare una sensibilità pubblica. Quella sensibilità pubblica non era solo il risultato di una campagna pubblicitaria. Era l’effetto di un’azione volta a «predicare il libro». Voleva dire che non bastava distribuire, bisognava costruire un percorso anche con chi si trovava nel luogo dove la distribuzione recapitava quell’oggetto. In breve, la libreria. E, dentro la libreria, il libraio. Perché la vita del libro comincia solo in quel momento: quando il libraio lo prende in mano.
La storia di Elsa Morante, che Cerati impone sin dalla prima edizione (1974) come tascabile a costo economico, era parte di una lotta per dare al tascabile una dignità che non fosse solo quella del prezzo. Voleva dire investire su un prodotto come luogo ed esperienza per una nuova generazione di nuovi lettori che doveva formarsi una sensibilità.
Per conseguire quell’obiettivo, tuttavia, non bastava inviare il libro in libreria. Bisognava poi avere un contatto con chi rappresentava la mediazione col cliente.
Il libraio, appunto.
Per molti anni c’è stato un appuntamento settimanale a Milano, alla Libreria Feltrinelli di Via Manzoni 12. Avveniva il venerdì pomeriggio tardi, dopo le 18.30, quando il centro iniziava a svuotarsi. Allora Roberto Cerati faceva capolino in libreria, girava per i banchi, guardava con calma la gente che entrava, quali libri sfogliava, quali abbandonava e quali, alla fine, comprava.
Ogni volta, uscito il cliente, Cerati ripercorreva quelle “stazioni di posta” che erano state contrassegnate dalla lettura di quell’acquirente. Poi ricomponeva le pile, rimetteva in ordine i libri fuori posto e si metteva in attesa del cliente successivo. Ai più poteva sembrare un vecchio libraio in pensione che non fosse riuscito a staccarsi dal suo mestiere e che dunque ritornava sul «luogo del delitto».
Pochi sapevano, oltre ai librai, che quel signore era uno dei costruttori dei luoghi del delitto. Meglio: uno dei suoi fornitori.
Ma lo scopo di quelle visite attorno all’ora di chiusura non era tanto “rastrellare Milano libreria per libreria”. Era piuttosto, una volta chiuso il negozio, la voglia di rimanere lì e parlare, magari improvvisando anche una cena in piedi. Era riuscire a dare un senso, una voglia di mestiere, una sensibilità, a una generazione di librai che allora avevano tra i 20 e 30 anni, che sentivano la necessità di parlare dei libri che maneggiavano tutti i giorni, andando oltre il titolo, pensando all’esposizione sui banchi come la costruzione di percorso emozionale, mentale che parlasse anche un po’ di loro.
Perché la funzione del libraio non è solo far comprare, ma promuovere a leggere, far fare al libro un passo in più, oltre quella pila di libri immobile che il cliente si trova davanti. Ed è prendere il cliente e farlo muovere in un mondo dove quel che conta davvero è quante immagini promuovi, quante connessioni riesci a fare e a far fare.
Un libro in libreria non è mai solo un libro. È un percorso. Non importa quanti salti fai da una sponda all’altra, quanto cambi marcia, se acceleri o rallenti. Importa il percorso che puoi tracciare, quante cose immagini, la voglia, l’entusiasmo, le incertezze e le inquietudini che condividi.
Conta quanta fiducia generi, se superi l’anonimato; se, con rispetto, ascoltando, superi la diffidenza e inauguri un percorso di confidenza. Ovvero: se apri alla possibilità – ma anche comunichi la disponibilità – di stringere un patto di fiducia.
In altre parole, per Roberto Cerati il libraio non è mai attore passivo della distribuzione, ma trasmettitore di segni degli interessi di un pubblico anch’esso in via di mutazione.
Per questo, il libraio è uno che si prende cura dei suoi gusti, che prova a entrare in dialogo.
L’esatto opposto, insomma, di un piazzista o di un venditore di polizze che attira il cliente facendo il piacione.
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