Benedetta Tobagi con i temi della resistenza ha sempre avuto una connessione. Basti vedere il suo ultimo capolavoro: La resistenza delle donne, per il quale abbiamo avuto il piacere di intervistarla.
In quell’occasione, non ha potuto trattenersi dal consigliarci Atti Umani di Han Kang, scrittrice sudcoreana che della resistenza ha fatto un libro-denuncia, una testimonianza drammatica di quello che è stato un vero e proprio massacro a danno di pacifici manifestanti intenzionati a resistere contro il regime di Chun Doo-hwan.
Una palestra comunale, decine di cadaveri che saturano l’aria di un «orribile tanfo putrido». Siamo a Gwangju, in Corea del Sud, nel maggio 1980: dopo il colpo di Stato di Chun Doo-hwan, in tutto il paese vige la legge marziale. Quando i militari hanno aperto il fuoco su un corteo di protesta è iniziata l’insurrezione. Atti umani è il coro polifonico dei vivi e dei morti di una carneficina mai veramente narrata in Occidente.
È un libro potentissimo. Parla della repressione brutale, poliziesca, avvenuta in Sud-Corea nel 1980, ma lo fa con il suo peculiare registro narrativo che è profondamente poetico, rarefatto
Era il 18 maggio 1980 quando a Gwangju la repressiva dittatura del presidente Doo-hwan si mostrò in tutta la sua atroce potenza: un solo ordine, un’autorizzazione alla carneficina camuffata da sedazione della rivolta, bastò a generare una strage.
I manifestanti, per la maggior parte professori e studenti che chiedevano riforme democratiche per il loro Paese, vennero aggrediti da una violenta repressione da parte delle milizie, che innescarono una guerriglia conclusasi 10 giorni dopo quella mattina di metà maggio, in un bagno di sangue.
Si stima che le vittime furono tra le 1000 e le 2000, giudicate dal regime dittatoriale come una rivolta comunista, finché fu l’instaurazione del regime democratico a riconoscerla per ciò che è stato realmente: un tentativo di punire le libertà dei coreani arrivando ad ucciderli.
L’autrice di Atti Umani, che all’epoca aveva solo 9 anni, ha deciso che relegare quell’evento al passato non gli avrebbe conferito la giustizia che meritava, e il modo in cui ce lo ritrae tra le pagine, non è di certo per risparmiarci i dettagli.
Macabre descrizioni relative a corpi smembrati, odori di decomposizione, ferocia inaudita…
La coscienza deve smuoversi, e noi con essa.
Han Kang ci fa entrare nella carne della storia, però lo fa con una delicatezza e seguendo delle strade imprevedibili, però alla fine è tagliente come una lama
Il massacro partito dalla piazza di Gwangju, però, Han Kang non lo descrive sotto forma di inchiesta, ma di narrazione corale: sette storie, sette persone che narrano la vicenda prima, durante e dopo la strage.
Perché gli effetti di un evento del genere vanno guardati anche attraverso la risonanza che generano, per comprenderli davvero.
Le voci che ascoltiamo, più che le parole che leggiamo, sono quelle di bambini, ragazzi, prigionieri e madri senza più figli. Più voci di un unico coro, in cui la morte accomuna ognuno di loro.
L’autrice ha elaborato questo libro attraverso fedeli ricostruzioni generate dai racconti di persone che quella strage l’hanno vissuta sulla loro pelle, e non importa che possano essere crude o difficili da digerire, perché per conoscere e riconoscere l’orrore dell’umanità, i filtri non sono necessari.
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