Anniversari e Ricorrenze

A Christmas Carol: a due secoli dalla prima edizione

Illustrazione di Sofia Ferraro, 2023, studentessa del Liceo artistico Volta di Pavia

Illustrazione di Sofia Ferraro, 2023, studentessa del Liceo artistico Volta di Pavia

Centottanta anni fa, nel 1843, a Londra, Charles Dickens pubblicava per Champman & Hall A Christmas Carol. In Prose. Being a Ghost-Story of Christmas, tradotto poi come Il Canto di Natale. E cioè, in prosa, Una storia natalizia di spettri.

Canto di Natale
Canto di Natale Di Charles Dickens;

Tintinnare di monete e frusciare di banconote: solo a questo pensa il vecchio e avaro Ebenezer Scrooge. Ma tutto cambia nella magica e spaventosa notte di Natale quando Scrooge riceve la visita di tre spiriti che lo costringono ad aprire finalmente gli occhi. E il cuore. La più celebre storia di Natale, toccante parabola fantastica di Charles Dickens, in un volume illustrato da Iacopo Bruno. Età di lettura: da 8 anni.

È la storia di Ebenezer Scrooge, banchiere vecchio, tirchio e avaro che riceve, la notte della vigilia di Natale, la visita di una serie di spettri che cercano di ammonirlo riguardo il suo stile di vita. Il primo fantasma che gli si presenta davanti è quello del suo ex socio in affari, Jacob Marley, morto sette anni prima quello stesso giorno. Marley si presenta come una visione terribile: attorno alla vita porta una catena forgiata di timbri, portamonete, assegni e banconote, ossia cose che gli hanno impedito (a suo stesso dire) di fare del bene agli altri.

Rimpiange il suo stesso egoismo e ammonisce Scrooge riguardo la vita che sta conducendo, avvertendolo che la catena che si sta forgiando lui stesso è ben più pesante. Introduce infine l’arrivo dei successivi tre fantasmi che faranno visita al banchiere: quello del Natale Passato, Presente e Futuro. Dopo le visioni che tutti e tre gli spettri gli sottopongono, Scrooge si redimerà e ne uscirà un uomo cambiato, più generoso e gentile.

Illustrazione di Alice Gandini, 2023, studentessa del Liceo artistico Volta di Pavia

L’opera è una tra le più famose dell’autore, scritta in un periodo durante il quale i Britannici stavano rivalutando le tradizioni natalizie, riportando in auge alberi di natale e cartoline d’auguri. Fu il racconto giusto al momento giusto, tant’è che la prima edizione andò esaurita il giorno di Natale.

La nuova e rinnovata atmosfera natalizia, e la visita che fece alla Field Lane Ragged School, istituto per i bambini poveri di strada a Londra, furono di grande ispirazione per Dickens che, fedele al suo stile irriverente e polemico, critica in modo sarcastico le classi alte della Londra Vittoriana.

Dickens, che ancora bambino aveva conosciuto sulla sua stessa pelle lo sfruttamento del lavoro minorile in fabbrica e la povertà, trasforma il Canto un romanzo di denuncia sociale, dal quale emerge forte il tema della solidarietà. Unisce così l’autobiografismo agli stilemi del romanzo gotico, di cui era appassionato, dando un’impronta perturbante a un romanzo di Natale.

Come scrive Gianrico Carofiglio nell’introduzione del volume edito da Rizzoli, Il Canto di Natale è un romanzo sociale, un racconto gotico, una favola commovente che dipinge in maniera caricaturale ma anche poetica la vita nel periodo vittoriano. Ebenezer Scrooge e l’arco narrativo che compie, e che lo porta a cambiare radicalmente alla fine del romanzo, diventano un'allegoria sulla possibilità di cambiare il proprio destino.

Ma perché allora, pur essendo stato scritto centottant’anni fa, il Canto di Natale rimane un classico ed è ancora in grado di produrre al lettore moderno una commozione universale?

Il Canto di Natale è un dramma diviso in cinque atti, durante il quale il protagonista viene portato a un profondo cambiamento da tre spiriti. Le apparizioni che compaiono a Scrooge si aprono e chiudono tra un sipario e l’altro, e le stesse tende del baldacchino dove dorme diventano quinte teatrali.

Dal punto di vista tecnico la storia è piuttosto semplice, tanto da risolversi con un deus ex machina: il cambiamento radicale di Scrooge avviene troppo in fretta e i personaggi sono bidimensionali, con poco spessore e poca profondità. La storia è ricca di simbolicità religiose e melodrammaticità. È un racconto fantastico che racchiude verità profonde.

È grazie allo stile di Dickens, alla sua scrittura, che il Canto assume i tratti della fiaba, denunciando le condizioni sociali e politiche e riuscendo a commuovere. Il lettore viene trascinato dentro alla storia, prima grazie alla dimensione visiva e poi tramite evocazioni impalpabili che coinvolgono tutti i sensi.

Si sente il freddo dell’inverno, si sentono i profumi dei cenoni della vigilia che vengono preparati, si sentono le campane e il clangore delle catene dei fantasmi; si vede lo studiolo dell’impiegato Bob Cratchit e si vede la gigantesca dimora, fredda e asettica di Scrooge.

A contribuire alla longevità del celebre racconto ci sono di sicuro le moltissime rielaborazioni: dal Canto di Natale di Topolino a Festa di Natale in Casa Muppet; esiste persino una versione di A Christmas Carol di Barbie. Non solo, il personaggio di Paperon de Paperoni (in inglese, Uncle Scrooge) è fortemente ispirato a Ebenezer Scrooge.

A Christmas Carol è una storia che coglie una serie di aspetti del Natale, rivalutati nello specifico periodo vittoriano, e poi rimasti punti fissi per la concezione del Natale così come elaborata da noi Occidentali. La sua rilettura diventa, quindi, una specie di rito per evocare l’atmosfera e lo spirito del Natale.

In questo piccolo libro di spiriti ho cercato di evocare lo spirito di un’idea, che non porterà malumore ai miei lettori nè verso se stessi, nè l’uno verso l’altro, nè verso il periodo dell’anno, e neanche verso di me. Che esso possa visitare con piacevolezza le loro case, e che nessuno si auguri di esorcizzarlo. Il loro fedele e umile amico

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Charles John Huffam Dickens è stato uno scrittore, giornalista e reporter di viaggio britannico. Nacque a Portsmouth nel 1812 ma si trasferì ben presto a Londra dove visse fino alla sua morte, nel 1870. I nonni paterni erano stati domestici presso famiglie della nobiltà; il nonno materno, colpevole di appropriazione indebita, s’era sottratto all’arresto con la fuga. Nel 1824 il padre, un modesto impiegato con gusti e abitudini superiori alle sue possibilità, fu rinchiuso per debiti nelle carceri londinesi di Marshalsea e il piccolo Charles, interrotti gli studi, venne messo a lavorare per sei mesi in una fabbrica di lucido per scarpe. Questa precoce esperienza di miseria, umiliazione e abbandono (anche dopo la scarcerazione del padre, la madre aveva insistito perché Charles continuasse a lavorare) lo segnò in modo irreparabile. Dopo un’istruzione sommaria, lavorò come commesso in uno studio legale, poi come cronista parlamentare e collaboratore di giornali umoristici. Finché con Il Circolo Pickwick il ventiseienne Dickens diventò di colpo uno scrittore di successo. La sua popolarità aumentò con i romanzi successivi, che uscivano a dispense mensili, con le conferenze, gli spettacoli teatrali da lui organizzati (vi si esibiva anche come attore). Nel 1846 fondò un quotidiano, il «Daily News», che durò meno di un anno; dal 1850 al 1859 diresse il settimanale «Household Words». Innamoratosi della giovanissima Ellen Ternan, nel 1858 Dickens si separò dalla moglie, dalla quale aveva avuto dieci figli; ma la nuova relazione non fu fortunata.Il Circolo Pickwick (1836-37), le cui dispense dalle iniziali 400 copie arrivarono alla tiratura di 40.000, è un capolavoro dell’umorismo. La trama è poco più d’un pretesto per mettere in scena una miriade di personaggi, gentiluomini e popolani. Se ne ricava l’immagine idealizzata e nostalgica di un’Inghilterra eccentrica e cordiale, estrosa e ricca di umanità, ancora integrata nonostante le divisioni di classe. Ma quest’immagine risulta già capovolta in Oliver Twist (1837-38), la tetra storia di un orfano, prima segregato in un ospizio di mendicanti e poi gettato nel mondo della malavita, tra ladri e prostitute. Dopo Nicholas Nickleby (1838-39) e il racconto grottesco La bottega dell’antiquario (1840), Dickens scrisse Barnaby Rudge (1841), romanzo «storico» sull’insurrezione anticattolica nota col nome di Gordon Riots, avvenuta a Londra nel 1780; ma dietro lo schermo di quei lontani moti popolari sono evidenti i sentimenti contrastanti dell’autore per la grande agitazione cartista che toccò il punto culminante proprio nel 1840, e per gli scioperi di quegli anni, finiti in tumulti sanguinosi. L’America (1842) è la relazione su un viaggio negli Stati Uniti, che ispirò a Dickens anche il romanzo Martin Chuzzlewit (1843-44): entrambe le opere riflettono l’amara delusione di Dickens, che aveva sperato di trovare attuati nella giovane democrazia americana i suoi ideali di libertà e di giustizia. Dal 1843 al 1848 apparvero i popolarissimi Racconti di Natale. Al soggiorno di un anno in Italia si riferiscono invece le Impressioni d’Italia (1846).Tra Dombey e figlio (1847-48) e Casa desolata (1852-53), due romanzi di forte impegno sociale, Dickens scrisse David Copperfield (1849-50), uno dei suoi libri più fortunati. Pensato come autobiografia, David Copperfield è eccezionalmente felice nella descrizione dell’infanzia, dei suoi amori e dolori, paure e meraviglie. Tra il 1951-53 lavora anche a A Child's History of England, che compare in serie su Household Words e che copre un periodo che va dal 50 a. C. al 1689. In Tempi difficili (1854) l’analisi sociale di Dickens investe il proletariato industriale. Lo sfruttamento economico e la crudeltà delle istituzioni sono temi dominanti anche in La piccola Dorrit (1857-58) e Grandi speranze (1860-61), nei quali si avverte anche un notevole approfondimento psicologico. Nel 1859 era uscito Le due città e nel 1864-65 vede la luce Il nostro comune amico, il romanzo più complesso e disperato di Dickens. Le ultime illusioni sulla missione progressiva della classe borghese sono definitivamente cadute e anche il proletariato, per elevarsi alla condizione della borghesia, ne ha assunto le caratteristiche di ipocrisia e di durezza. L’analisi psicologica si fa particolarmente sottile in Il mistero di Edwin Drood, un romanzo «poliziesco» rimasto incompiuto nel quale Dickens esplora il conflitto tra il bene e il male nell’animo di un singolo uomo.Se Dickens ha conosciuto in vita e fino ai giorni nostri una popolarità straordinaria, la sua fortuna critica è stata invece discontinua. La reazione antivittoriana finì spesso per confondere anche l’opera di Dickens tra le tipiche espressioni della società che essa rifiutava. La successiva rivalutazione non è mai stata immune, specie da parte della critica accademica, da riserve più o meno ampie. L’opera di Dickens non è certo esente da difetti, in parte riconducibili al superlavoro cui lo costringevano le ferree scadenze editoriali e il suo bisogno di essere sempre a contatto con il suo pubblico. Eppure, nonostante la mancanza di misura, gli errori di gusto, gli eccessi patetici e moralistici, Dickens è il maggior narratore inglese del suo secolo e tra i massimi di ogni paese. Dickens creò una nuova forma letteraria, il romanzo sociale, nel quale fuse e sviluppò due grandi filoni della narrativa inglese: la tradizione picaresca di Defoe, Fielding e Smollett e quella sentimentale di Goldsmith e Sterne. Egli tuttavia esplorò i generi più diversi, dal racconto di fantasmi a quello poliziesco, dal romanzo umoristico alla satira di costume.

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