Sotto le copertine

Sesso, sbronze e sincerità: ecco il mio Bukowski

Quanti nomi può darsi, un uomo, per fuggire da sé stesso, finendo sempre per ritrovarsi al punto di partenza?
Ci sono mille barfly a posarsi sbronzi e sfiniti sui banconi di tutti i bar della Pacific Coast Highway. 
Mille cavalli vincenti su cui puntare forte, sul Sunset Boulevard, e altrettante promesse infrante.
Ma di Bukowski  - Hank, Buk, Chinaski, Henry Charles Bukowski Jr. - ce n'è uno solo
 
Charles Bukowski moriva trent'anni fa, esattamente il nove marzo 1994. 
Intendiamoci: non che ci sia bisogno di un'occasione particolare per tornare sulla vita e sull'opera di un autore tanto amato.
Ma non capita tutti i giorni di poter parlare con chi da altrettanto tempo lavora sulle parole di Bukowski, per riuscire in un'impresa ammirevole come quella di rinsaldare, a ogni nuova uscita dello sterminato corpus bukowskiano, il patto che lega questo unicum che era e rimane Bukowski alla comunità dei lettori.
Una comunità che muta, proprio come muta la lingua con la quale Simona Viciani restituisce ai lettori italiani la koiné urbana e vivissima di Buk.
Poesia, prosa, saggi e raccolte: tutto fa brodo, quando si tratta di entrare più a fondo nell'opera di Bukowski e nel modo di intendere la letteratura di quello che - oggi che il tempo è passato possiamo dirlo - è il più anticlassico dei classici americani

Così, complice uno scambio di mail che già lasciava presagire la grande carica di simpatia e l'altrettanto grande competenza di Simona, abbiamo avviato una bella conversazione sull'oggetto della nostra comune passione. Ecco il nostro omaggio a Bukowski, dunque: vi auguriamo una buona lettura. Che Hank, Buk, Chinaski, Henry Charles Bukowski Jr. ci sorrida benevolo, da lassù, con un bicchiere in mano e quel suo bellissimo sorriso.
Il sorriso di un loser che ha vinto

L'intervista con Simona Viciani


Maremosso: Innanzitutto, vorremmo chiederti quando nasce la passione per la narrativa di Charles Bukowski. Qual è stata la pagina – o il romanzo – che ti ha fatto “sentire la voce” di “Hank” e pensare che avresti voluto lavorarci.

Simona Viciani: Mi sono appassionata a Bukowski fin da ragazzina.
Il romanzo Donne era stato posizionato ben in alto nella libreria di casa per tentare di renderlo inaccessibile a me e a mia sorella.
Ovviamente la cosa aveva reso ancora più indispensabile il tentare di raggiungerlo. Avevo quindici anni ed è stato amore a prima vista. Più che per le pagine sconce, Bukowski mi ha inchiodato a sé per lo stile spudorato che utilizza nel trasporre sulla pagina la sua quotidianità, rendendola universale. E uso il presente, perché è tuttora una delle cose che amo di più di questo autore. Capisco bene ciò che provò Hank la prima volta che alla biblioteca pubblica di Los Angeles si imbatté in John Fante: parole scolpite sulla pagina, finalmente uno scrittore che mirava dritto al cuore senza filtri perbenisti. Questo è quello che ho provato io la prima volta che ho letto Bukowski.
Avevo incontrato lo scrittore che mi avrebbe cambiato la vita, ma questo ancora non lo sapevo. La voce di Hank “l’ho sentita” tempo dopo, quando ho avuto la possibilità di leggere un suo testo in americano. Dovevo assolutamente riuscire a restituire nella mia lingua la sua anima caleidoscopica di cui erano conosciute soltanto le sue tinte forti.

Azzeccare i cavalli vincenti
Azzeccare i cavalli vincenti Di Charles Bukowski;

Che si tratti di arte, di musica, di politica, dei colleghi scrittori o di ripercorrere la propria vita, la penna del vecchio Buk non sorprende, ma illumina, lascia senza fiato. Che cosa doveva essere letteratura, era chiaro: "La maggior parte degli scrittori scriveva delle esperienze delle classi medio-alte. Avevo bisogno di leggere qualcosa che mi facesse sopravvivere alle mie giornate, alla strada, qualcosa a cui appigliarmi. Avevo bisogno di ubriacarmi di parole."

MM: Una trasferta a L.A. precede di poco il grande incontro mancato con Bukowski… eppure, per ogni treno perduto ce n’è un altro che parte, e di lì a poco diverrai amica di Linda, compagna di vita di Bukowski e – immaginiamo – viatico ad una conoscenza dell’uomo certamente utile per chi si accinge a tradurre l’opera omnia di un autore… come è nata e come è cresciuta questa amicizia?

SV: L’incontro tra me e Linda Lee non è nato per caso.
Io ero a Palos Verdes, che dista pochi chilometri da San Pedro, dove abitava Bukowski. Conoscendo la ritrosia dello scrittore verso il lettore scellerato che si presentava alla sua porta con due confezioni da sei per fare “amicizia”, mi guardavo bene dal farlo. Avevo cerchiato sulla cartina di Los Angeles i posti dove Hank bazzicava e che descrive nei suoi libri (librerie, ippodromi, bar, ristoranti, eccetera) e ci passavo tutto il mio tempo libero. Come dicevi, lui non l’ho mai incontrato, ma qualche mese dopo la sua scomparsa ero al Pink Mule’s, un bar sulla Pacific Coast Highway, e Nick, il barista, mi ha indicato una persona che conosceva bene Hank. Lavorava nel reparto frutta da Ralph’s, un supermercato vicino alla casa di Bukowski. Dopo avergli strappato qualche aneddoto, seduta al bancone del bar, ho scritto il mio numero di telefono su un sottobicchiere, certa che non avrebbe mai raggiunto la destinataria, e l’ho consegnato a Charlie, così si chiamava. Qualche giorno dopo c’era un messaggio nella mia segreteria telefonica: Linda Lee mi invitava a casa per una chiacchierata.
Inutile cercare di spiegare cosa ho provato. Dopo quell’incontro ce ne sono stati moltissimi altri ed è nata così la nostra amicizia cementata dalla comune passione per il poeta.

MM: Quant'è importante, per chi traduce, conoscere il contesto entro il quale si muove (o si è mosso) l'autore su cui si lavora?

SV: Penso che sia fondamentale, per un autore autobiografico come Buk, conoscere i luoghi che frequentava e le persone a lui vicine.
È importante dare un volto o avere in testa l’immagine relativa a ciò che si sta traducendo. Per entrare nell’anima di chi si traduce bisogna fondere la propria anima con la sua.
Linda Lee, assieme alle persone che lo conoscevano e che ho avuto l'occasione di incontrare, me ne hanno fornito l’opportunità.
E a proposito di opportunità, mentre vivevo a Los Angeles - città nella quale sono rimasta dodici anni - mi è stato offerto da Al Berlinski, editore americano della casa editrice Sundog Press, di tradurre l’intervista di Fernanda Pivano uscita in Italia per i tipi di Feltrinelli con il titolo Quello che importa è grattarmi sotto le ascelle.

Quello che importa è grattarmi sotto le ascelle. Fernanda Pivano intervista Charles Bukowski

Fernanda Pivano incontra Charles Bukowski e lo fa parlare, quasi a ruota libera. Ne esce un ritratto incisivo di uomo e di artista. Precedute da una biografia dell'autore, la Pivano pone le sue domande, oscillando tra le questioni fondamentali e le piccole cose che fanno la vita di tutti i giorni.

MM: … davvero? raccontaci com'è andata?

SV: Al Berlinski mi contattò, dicendomi che Fernanda Pivano voleva che lo traducessi io. Lei non riusciva più a trovare le bobine originali dell’intervista e quindi ho fatto il lavoro sporco e periglioso di traduzione inversa: dall’italiano all’americano. Una volta ultimata l’ho sottoposta a Linda Lee e il suo commento mi ha spiazzata, in positivo: “sembra di sentire parlare mio marito”. Questa esperienza mi ha dato forza e ha fatto nascere in me il desiderio di diventare “da grande” la sua traduttrice.
In Italia per l’opera omnia di Buk volevano un traduttore. Ho fatto una prova in doppio cieco di venti poesie con altri tre traduttori, tutti maschi.
La Harper Collins di New York scelse la mia traduzione. Del resto, come dico sempre, sono certa che a Bukowski sarebbe piaciuto finire nelle mani di una donna.
Da allora sono trascorsi vent’anni.

Il sole bacia i belli. Interviste, incontri, insulti

"Molti dicono che Charles Bukowski non esista. Una leggenda metropolitana, che dura ormai da anni, afferma che tutte le poesie turbolente da lui firmate in realtà siano state scritte da una vecchia scorbutica dall'ascella cespugliosa." Così scriveva nel marzo 1963 un giornalista del "Literary Times" di Chicago.

MM… a proposito di “opera omnia”: a che punto sei, nella traduzione completa delle opere?

SV: Per fortuna il traguardo è ancora lontano. Ci sono manoscritti inediti e volumi ancora non pubblicati in Italia, direi su per giù ancora una ventina di libri.
Tante pagine che per me e per molti suoi fedeli lettori sono ossigeno. 

Storie di ordinaria follia. Erezioni, eiaculazioni, esibizioni

«La gente è il più grande spettacolo del mondo. E non si paga il biglietto.»

MM: Il vernacolo che i lettori di Bukowski hanno imparato ad amare attraverso i racconti di Storie di ordinaria follia (… e già su questa traduzione dall’originale Erections, Ejaculations, Exhibitions e General Tales of Ordinary Madness si potrebbe dire qualcosa del marketing editoriale al di qua e al di là dell’oceano) è una lingua ritmata, che attinge molto alle forme del parlato e come tale è “deperibile”. Come si fa ad aggiornare uno stile in modo che arrivi anche ai lettori contemporanei senza tradirne la musica? 

SV: Questo è un problema annoso che affligge noi traduttori.
Io sono fortunata, poiché Bukowski ha uno stile unico, moderno, tuttora all’avanguardia.
Forse Storie di ordinaria follia è stato il libro che ho faticato di più a tradurre.
Difficile renderne il flusso di coscienza segmentato e le immagini descritte nei vari racconti. È il periodo folle di scrittura matta e disperata.
Scriverà più tardi nella corrispondenza con Carl Weissner e in alcune interviste che con questo libro si era creato un’immagine e che a lungo andare quest’immagine aveva sopraffatto lo scrittore, il poeta e anche l’uomo. Della serie: vanno a letto con Chinaski e si svegliano con Bukowski.
Tornando al libro, spero di essere riuscita in questa difficile prova, mi ricordo che per suonare la sua stessa musica che schiaffeggia i timpani a ogni pagina ho bevuto molto.
Naturalmente scherzo. Ho dedicato la postfazione al libro tentando di spiegare il mio stato d’animo di allora e le mie scelte traduttive. Spero di esserci riuscita.

Compagno di sbronze
Compagno di sbronze Di Charles Bukowski;

Poeta dell'eccesso, Bukowski porta alta la bandiera di un anticonformismo californiano che ha una lunga storia alle spalle. In «Compagno di sbronze», forse più che altrove, la vena satirico-umoristica dell'autore assume talora colorature selvagge o addirittura feroci.

MMCome si danno la mano, nel tuo lavoro di traduzione, il Bukowski prosatore e il Bukowski poeta?

SV: Sono la stessa persona. C’è molta poesia nella sua prosa e viceversa. Utilizzava le poesie come bozzetti per i racconti e i racconti li imbastiva in capitoli che trasformava in romanzi.
I capitoli di un romanzo, diceva, devono essere brevi, potenti come una fucilata. Le poesie sono al novantanove per cento autobiografia, i racconti e i romanzi invece sono al novantacinque per cento autobiografia mischiata al cinque per cento di fantasia e finzione, per rendere la narrazione e la realtà credibili. Questa era una delle sue massime preferite, che spesso diceva durante le interviste, anche se la percentuale che riportava era sempre diversa.

Il ritorno del vecchio sporcaccione

La rubrica "Taccuino di un vecchio sporcaccione" debutta sulle riviste underground statunitensi nel maggio del 1967. Cronista di eccezione è Charles Bukowski, che in questa raccolta – estrapolata dalle sue migliori pagine – ci accompagna con la consueta lucidità dissacrante dai rivoluzionari anni sessanta ai disincantati anni ottanta.

MM: Il 9 marzo scadono i termini utili per presentare il proprio inedito e concorrere alla undicesima edizione del Premio Letterario Nazionale Bukowski di Viareggio, della cui giuria tu sei presidente. Ci racconti qualcosa del Premio in generale, e di questa edizione in particolare, dato che quest’anno – proprio il 9 marzo - si celebra il trentennale della scomparsa dello scrittore?

SV: Negli anni il concorso è cresciuto molto. L’ideatore è Marco Palagi della Giovane Holden Edizioni, un caro amico, assiduo studioso e avido lettore di Buk.
Come in ogni concorso che si rispetti si ha un panorama completo della tribù bukowskiana: c’è chi lo idolatra, chi lo scimmiotta, chi lo teme, chi si ispira a lui.
Le cerimonie di premiazione sono imperdibili: può succedere di tutto. Scherzi a parte, ci vengono proposti sempre lavori molto interessanti, spesso meritevoli di pubblicazione.   

MM: Trent’anni sono un bel pezzo di vita, da passare in compagnia di un tipaccio come Chinaski. Eppure, nonostante le sbronze, nonostante le promesse disattese, nonostante il cattivo carattere del suo alter ego, più passa il tempo e più quel che resta al fondo del setaccio sembra essere una certa “purezza” di Bukowski. Come mai? 

SV: Sono stati anni splendidi accanto a quel tornado bianco chiamato Chinaski.
È stato un fantastico compagno di viaggio che mi ha insegnato il sapiente utilizzo dell’ironia e del sarcasmo per sbeffeggiare le brutture delle nostre disavventure terrene.
Penso che affiori la sua purezza per la candida lealtà che ha sempre avuto verso sé stesso, nel bene e nel male. Uso un esempio che a lui sarebbe sicuramente piaciuto.
Bukowski è come un whiskey di grande pregio: non puoi utilizzarlo per un cocktail, non puoi metterci il ghiaccio, devi berlo così com’è, senza artifizi.
E Bukowski è così. Ti arriva dritto al cuore, ti brucia anima e budella.

MM: Un’ultima domanda: c’è libro, oltre Bukowski? Ovvero: quali altri autori e generi ti piace leggere (e quali ti piacerebbe tradurre)?

SV: Tra gli Italiani alla fine casco sempre sui miei adorati Pavese e Bianciardi. Dopo Hank è difficile a dirsi, ma se dovessi scegliere non ho dubbi: Fante, Hemingway, Chandler e Dorothy Parker. E dici poco?

Shakespeare non l'ha mai fatto. Ediz. illustrata

"Non molto da dire sul volo: Linda Lee e io siamo stati accusati di fumare marijuana. Dopo dieci o venti minuti buoni abbiamo convinto il capitano, o chiunque fosse, che non fumavamo marijuana. Abbiamo bevuto tutto il vino bianco disponibile, poi tutto quello rosso. Linda si è addormentata e io ho bevuto tutta la birra che c'era sull'aereo."

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