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Più grande è il budget più piccole sono le idee, più piccolo è il budget meglio sono le idee.
Ci sono registi senza i quali il cinema americano non sarebbe stato lo stesso. Francis Ford Coppola è uno di questi.
Nato a Detroit nel 1939 ma cresciuto a New York, da genitori di origini italiane (della Basilicata), si appassiona presto alla musica (il padre Carmine è stato un direttore d’orchestra) e al teatro fino a trovare il grande amore nel cinema. Il suo talento si rivela precocemente, e negli anni Sessanta dirige i primi film tra cui il road movie al femminile Non torno a casa stasera (1969), dove una donna in crisi abbandona all’improvviso il marito dandosi a una fuga senza meta.
Come sceneggiatore ottiene il premio Oscar per Patton, generale d'acciaio (1970) di Franklin J. Schaffner, ma la svolta decisiva della carriera arriva quando la Paramount gli offre la regia di Il padrino (1972), tratto dal bestseller di Mario Puzo. A poco più di trent’anni, Coppola firma così una delle pietre miliari nella storia del cinema.
Rischiando tutto e sfidando l’ancien régime di Hollywood, Coppola impone il proprio controllo creativo sull’opera e va allo scontro con i produttori per avere nel ruolo di Michael Corleone l’allora sconosciuto Al Pacino, e in quello del padre Don Vito il divo Marlon Brando, malvisto dalla Paramount per il suo carattere imprevedibile. Il casting si rivela perfetto, così come la colonna sonora di Nino Rota, la fotografia di Gordon Willis, e la scelta di raccontare una storia criminale come un dramma shakespeariano, scardinando le convenzioni del gangster movie: l’antieroe protagonista ne esce qui vittorioso, seppur condannato alla solitudine del male.
Il risultato è un capolavoro entrato nell’immaginario collettivo che fa centro anche agli Oscar, un trionfo di pubblico e critica — «Il padrino è ovunque, pare che tutti gli altri film siano un fiasco», ironizza François Truffaut in Effetto notte (1973). Coppola diventa uno dei registi più importanti della New Hollywood e degli anni Settanta, assieme a Martin Scorsese, George Lucas, Brian De Palma, Steven Spielberg, Michael Cimino, Woody Allen, ed è quello che più di tutti coniuga la monumentalità del cinema classico con la ricerca autoriale.
In qualità di produttore, aiuta l’amico George Lucas a sfondare sostenendo American Graffiti (1973) con le proprie finanze e il proprio nome.
Nel 1974 vince la Palma d’oro al Festival di Cannes per il thriller claustrofobico La conversazione, e nello stesso anno gira Il padrino - Parte II, sequel (e al contempo prequel) all’altezza dell’originale, facendo di nuovo incetta di Oscar. Ormai Coppola può tutto, anche girare il film definitivo sulla guerra nel Vietnam, ispirandosi al racconto Cuore di tenebra di Joseph Conrad. Impresa cinematografica estrema, apice visionario di Coppola, Apocalypse Now (1979) — che gli vale la seconda Palma d’oro a Cannes — è una rappresentazione allucinata dell’orrore della guerra e della follia umana, con l’ultimo grande ruolo di Brando.
Gli anni Ottanta scorrono tra cadute e risalite, progetti accettati per soldi (con cui risanare i debiti della sua casa di produzione Zoetrope) e opere più personali, tra cui si distinguono la libertà visiva di Rusty il selvaggio (1983), l’omaggio al jazz di Cotton Club (1984), la commedia nostalgica Peggy Sue si è sposata (1986), fino a Il padrino – Parte III (1990), ultimo capitolo della trilogia ma non al livello degli altri due, e al successo di Dracula di Bram Stoker (1992). Da lì in poi Coppola rimarrà sempre più defilato rispetto all’industria hollywoodiana, prediligendo pochi e piccoli progetti indipendenti. Ma in lui il sacro fuoco del cinema non ha mai smesso di ardere. Una passione da sempre condivisa con la famiglia, dalla sorella attrice Talia Shire alla figlia regista Sofia Coppola, dal figlio sceneggiatore Roman Coppola al nipote attore Nicolas Cage.
In attesa dell’uscita del suo ultimo film Megalopolis prevista nei prossimi mesi, Coppola guarda al futuro con ottimismo e di recente è pure approdato su Instagram (come l’amico Scorsese), rispondendo così al commento di un fan: «La mia impressione è che siamo vicini a una nuova età dell’oro del cinema».
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