Luce sulla Storia

Nasce il Portapack. “Video teppisti” e controinformazione

Illustrazione digitale di Marta Punxo Agoni, 2022

Illustrazione digitale di Marta Punxo Agoni, 2022

Nel 1967 la Sony lancia sul mercato il primo sistema Portapack, Sony DV-2400 Video Rover, una telecamera che registra su nastro, in bianco e nero, abbastanza leggera da poter essere usata da una sola persona. Senza più cavalletti o chassis ingombranti, questo nuovo strumento tecnologico è anche economico (1.500 dollari), tanto da diffondersi rapidamente anche in contesti amatoriali.

Il Portapak dà la possibilità di appropriarsi del video, essenza di un potere mediatico fino ad allora appannaggio perlopiù di televisione e istituzioni. Passa alla storia come uno strumento di controinformazione, capace di dare voce alle istanze di trasformazione politica della realtà ­– in chiave anche artistica – e alle forme di denuncia e rappresentazione del movimento underground degli anni sessanta e settanta.

In Italia, si sa, la storia della televisione segue il ritmo del miracolo economico. Se il primo canale rivolto al grande pubblico fa la sua apparizione nel gennaio 1954, è soltanto nei primi anni sessanta che la TV si diffonde a macchia d’olio diventando una parte consolidata della quotidianità, senza significative distinzioni di classe. Il movimento di contestazione culturale degli anni sessanta, perlopiù composto da ragazze e ragazzi cresciuti a contatto con questo mezzo, non può che vedere nella televisione uno strumento di controllo e di informazione veicolata dall’alto. La possibilità di metterci letteralmente le mani sopra, e di rovesciarne il potere ideologico, ci dà la cifra della svolta culturale introdotta da una telecamera con queste caratteristiche.  

Nell’estate 1976, al Parco Lambro di Milano, la rivista underground “Re Nudo” organizza il Festival del proletariato giovanile. Esiste un inserto speciale della rivista dedicato a questa edizione del raduno: uno spazio di restituzione delle voci che si erano accavallate durante i momenti assembleari, in cui mettere nero su bianco le criticità di un evento molto controverso. La festa aveva lasciato in eredità agli organizzatori sei milioni di danni per via del saccheggio alle celle frigorifere Motta affittate per l’occasione.

Un dettaglio apparentemente secondario aveva generato una vera e propria rivolta animata dal basso dei partecipanti. Il costo troppo alto dei panini venduti nello spazio del festival era diventato il motivo per un esproprio “di classe”, fortunatamente immortalato dal Portapack del regista Alberto Grifi, chiamato a partecipare con il mandato di produrre un documentario sulla parte musicale dell’iniziativa.

36 ore di registrazioni immortalano quella che lo stesso Grifi ricorda come uno «psicodramma ad alta temperatura sulle insurrezioni giovanili degli anni Settanta, chiuse nel ghetto del Festival». Qui la presenza del gruppo di “video teppisti”, collaboratori di Grifi, aveva svolto un ruolo attivo nell’incentivare “l’insurrezione proletaria” contro gli organizzatori del festival, come riportato da un’intervista di Simonetta Fadda al regista. Pare che ad accendere la miccia della protesta interna fosse stata proprio la presenza della telecamera.

Un ragazzo, vedendo la telecamera, ha iniziato ad autointervistarsi raccontando che lui preparava i panini per gli operai alla mensa dell’Alfa Romeo a Milano e che – prezzi alla mano – poteva dimostrare come quei panini, venduti in fabbrica a meno della metà di quanto costavano a Parco Lambro, procurassero ugualmente un bel guadagno al suo padrone. Questo ragazzo ha continuato ad autointervistarsi davanti a tutte le telecamere che vedeva, finché non ha trovato il coraggio di arrampicarsi sul palco, strappare di mano il megafono a uno che stava facendo da paciere per conto dell’organizzazione, e fare questo discorso al popolo. Lì è scattato l’esproprio.

Il festival del Parco Lambro aveva l’ambizione di richiamare l’intera galassia dell’underground italiano, una varietà di soggettività evidentemente molto distanti tra loro. Un racconto di fantascienza, pubblicato nel già citato inserto di “Re Nudo”, ne offre una rappresentazione:

Gli alieni erano venuti da tutte le parti dello spazio: c’erano rappresentanti dei pianeti più lontani. “ventose libere” gridavano i polipi abitanti degli anelli di Saturno. “è ora, è ora, lo spazio a chi lavora” gridavano invece i Fanigottoni (abitanti di Marte) agitando le loro uniche tre dita a mo’ di pistola […], c’erano poi i Krea, enormi uccelli variopinti, che facevano i loro nidi nei misteriosi Centri Sociali del Nulla, o occupavano il Palazzo del Vuoto. E laggiù in fondo, la fila sterminata delle antenne degli indigeni di Radio, un atollo pirata che disturbava le frequenze delle astronavi.

Dalle pagine dell’inserto sembra che l’edizione del festival del 1976 segni la fine di un presunto “comportamento unitario”, diffuso fino a quel momento all’interno del “proletariato giovanile”. Un’unità di aspirazioni e di comportamenti di vita – scrivevano – capace di sorpassare anche le differenti estrazioni sociali: droghe psichedeliche, vita comunitaria, la musica come scoperta di un modo nuovo di comunicare, il viaggio, l’aspirazione per un nuovo modo di fare politica.

I disordini del Parco Lambro venivano attribuiti alla partecipazione massiva di una nuova generazione di appena ventenni, «i cinquantamila nuovi arrivati, quelli che hanno da subito fumato lo spinello come potevano bere la Coca cola […] gente che consuma, o aspira a consumare in modo alternativo, sesso, panini, erba o eroina, esattamente nello stesso modo in cui la borghesia consuma puttane, caviale e cocaina».

Al culmine delle tensioni la festa si trasformava in una ronda degli organizzatori del festival armati di spranghe e chiavi inglesi contro i “tossicomani” da eroina, di cui troviamo una traccia anche nel racconto fantascientifico:

C’era un po’ di tensione in giro: era appena passato un raid di Grandi Siringhe e gli Spranghi loro acerrimi avversari avevano avuto un bel da fare. Fred Moleschott si sentì improvvisamente triste e invece avrebbe voluto divertirsi. Era il fallimento di una generazione?

Scegliendo di immergersi nella realtà per trasformarla, la telecamera di Grifi è riuscita a immortalare questa frattura, svolgendo un ruolo politico che sta soprattutto nell’aver dato voce alla varietà dei punti di vista dei presenti, incentivandone la partecipazione e trattenendo le luci e le ombre di un pezzo di storia del movimento della controcultura italiana.

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