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Antropocene: storia e vita di un concetto

Quando è iniziata la relazione che attualmente lega l’uomo alla natura? A che punto collocare le origini della nostra crisi ecologica?
Da alcuni anni è sempre più frequente rispondere a simili, capitali interrogativi con «un argomento racchiuso in una parola»: Antropocene.

Ma di cosa si tratta davvero? Anzitutto l'Antropocene indica una nuova epoca geologica, con una formulazione proposta dal microbiologo Eugene F. Stoermer e dal Nobel per la chimica Paul J. Crutzen a partire dal 2000.

Per capirsi tra profani: la discussione scientifica, avviata tra i geologi negli ultimi decenni e accelerata anche dal costituirsi dell’Anthropocene Working Group (AWG), ha cominciato a occuparsi dei tempi che il nostro pianeta ha attraversato.

Dibatteva (e lo fa ancora, nonostante alcuni media mainstream diano per unanime l’accoglimento dell’Antropocene) sull’esistenza di sufficienti prove per poter affermare che l’impatto umano sulla terra sia di una tale magnitudine e durata da suggerire che il tempo presente non sia più compreso nell’epoca geologica dell’Olocene (iniziata circa 12.000 anni fa dopo l’ultima epoca glaciale e in cui dovremmo ancora trovarci) ma che necessiti della formalizzazione di un nuovo concetto.

Di qui l’Antropocene - reso ormai noto al grande pubblico anche con film, mostre e canzoni - inteso come l’epoca in cui gli umani sono divenuti il principale fattore di influenza stratigrafica, un vero e proprio agente geologico (e non più solo biologico) in grado di determinare l’ambiente del pianeta.

Una possibile e suggestiva argomentazione stima che pozzi e perforazioni saranno chiaramente visibili a ipotetici geologi tra un milione di anni. Chiunque avrà l’opportunità di visitare il nostro pianeta fra alcune centinaia di migliaia di anni, a prescindere dalla sorte toccata alla nostra specie, potrà probabilmente conoscere, mediante il suddetto dato o i residui dell’urbanizzazione, il grande impatto prodotto dall’uomo.

Come ha però notato Stefania Barca in un recente intervento:

Il disastro che ci circonda non può essere attribuito all’umanità in quanto tale dal momento che la sua grande maggioranza non ha giocato alcun ruolo storico nell’aumento delle emissioni di gas a effetto serra

Stefania Barca

Da qui la critica mossa all’ambiguità politica del neo-introdotto lemma di origine geologica.
Infatti, come nota Paolo Missiroli nell’importante Teoria critica dell’Antropocene. Vivere dopo la Terra, vivere nella Terra, il nuovo concetto è sempre accompagnato da quella che definisce  un’accezione prometeica.
Quest'accezione è da intendersi nel senso attribuito al prometeismo da Marcuse, per cui Prometeo è il simbolo «dello sforzo incessante di dominare la vita», ovverosia come:

Un atteggiamento o un pensiero che esprime la necessità, per l’umano, del dominio e della trasformazione tecnica di tutto ciò che umano non è

Herbert Marcuse

Da qui anche la propensione dello stesso Crutzen e di altri sostenitori del termine, verso la geo-ingegneria come principale (se non unica) soluzione possibile alla crisi ecologica, sia sul piano della rimozione di CO2 in eccesso, sia su quello dello schermo delle radiazioni solari. L’uomo, genericamente responsabile del degrado in cui vive, che è quindi altrettanto eroicamente responsabile - in una illimitata proiezione nel futuro sostenuta da una solida fede in sé stesso - di porre rimedio ai danni causati con un’ulteriore evoluzione e sviluppo tecnologico.

L’alternativa introdotta nell’ultimo decennio dal sociologo americano Jason W. Moore è invece quella della nozione di Capitalocene, comparsa nel dibattito italiano con il suo Antropocene o Capitalocene? Scenari di ecologia-mondo nella crisi planetaria (Ombre Corte, 2017).

Con questo termine l’autore vuole evidenziare come il capitalismo sia esso stesso un’ecologia-mondo: non un sistema sociale, economico e politico che ha un particolare regime ecologico, bensì un regime ecologico, una particolare organizzazione «della natura al fine del profitto».
Rispetto quindi alla data d’origine fissata da Crutzen con la proposta dell’Antropocene - ossia «l’invenzione nel 1784 della macchina a vapore di James Watt» (Paul J. Crutzen, Geology of Mankind, Nature, 2002) -, il sociologo americano la anticipa «all’ascesa del vasto ma debole capitalismo del lungo XVI secolo», quella fase seguita, per intendersi, alla crisi della civiltà feudale (con tutte le sue distintive strutture socio-economiche) dopo la peste nera del 1348.

Il cambio di prospettiva, anche se appare minimo, è in realtà straordinario.
Il capitalismo e le sue invenzioni tecnologiche non sono nel 1800, come un'Atena industriale, fuoriuscite improvvisamente dalla testa di un carbonifero Zeus. Bensì sono il frutto della formazione di una particolare classe inserita in un altrettanto particolare sistema economico: la borghesia capitalistica. E la sua ascesa si preparava già, come detto, da oltre tre secoli.

Spostare l’asse temporale dall’invenzione delle macchine industriali ai secoli dello sviluppo dei rapporti di potere, sapere e capitale che hanno permesso un’accumulazione sufficiente a far guidare a pochissimi (certo assistiti anche da particolari condizioni ambientali di fortuna) la rotta dell’industrializzazione, significa sostituire il responsabile e cambiare strategia politica.

Non bastano più quindi piccoli o grandi modifiche tecniche delle nostre organizzazioni sociali, politiche, economiche e industriali per invertire il processo. Perché, come nota ancora Moore nel suo saggio:

Spegnere una centrale a carbone può rallentare il riscaldamento globale per un giorno ma è l’interruzione dei rapporti che costituiscono la miniera di carbone che può fermarlo per sempre

Jason W. Moore

Un altro significativo contributo alla teoria critica dell’Antropocene viene da un’importante opera di Andreas Malm, Fossil Capital: The Rise of Steam-Power and the Roots of Global Warming (Verso Books, 2016).
Sempre tentando di denaturalizzare l’Antropocene, Malm dimostra come questo non sia un destino ma un deliberato progetto politico, attuato necessariamente con antagonismi e resistenze.
I combustibili fossili avrebbero prevalso nell’Inghilterra del XIX secolo non per assenza di alternative fonti energetiche (tra l’altro anche a minor costo, come quella fornita in abbondanza dai corsi d’acqua) ma per la necessità di sradicare queste fonti dalle comunità e dai territori cui erano legate, per dare origine a un carbone che è «ontologicamente soggetto al capitalista».
Vale a dire il processo inverso rispetto a quello che si vorrebbe attuare oggi attraverso le comunità energetiche, data l’ormai acquisita coscienza del potere imposto da una produzione centralizzata dell’energia.

Come giustamente evidenzia Paolo Missiroli nel testo citato:

«Tutto ciò rende ancora più chiare le difficoltà del discorso prometeico sull’Antropocene nel giustificarsi da un punto di vista storico: la nostra condizione di crisi ecologica, lungi dall’essere colpa di un’umanità astratta, ha dei soggetti precisi, che non solo hanno fatto consapevolmente scelte discutibili dal punto di vista ecologico, ma le hanno fatte trovandosi di fronte a grandi masse di esseri umani e non umani che a queste scelte facevano resistenza, in Occidente e altrove».

Non più l’anthropos genericamente inteso, ma una particolare classe, dotata di originale capacità nel riformarsi nei secoli, responsabile di aver prodotto e adesso contribuito a distruggere il mondo moderno per come l’abbiamo conosciuto.

Di fronte alle numerose categorie alternative proposte negli ultimi anni (si pensi solo al Wasteocene di Marco Armiero, o alle diverse e affascinanti datazioni dell’origine dell’attuale crisi ecologica), e al portato teorico di tali proposte che è qui difficile considerare (ci basti citare il superamento del dualismo cartesiano fra uomo e natura in Moore, quando descrive il capitalismo come ecologia-mondo), nonché ai limiti dell’analisi del capitalismo e delle sue capacità di valorizzazione della crisi ecologica stessa, ben oltre una definitiva crisi dovuta all’esaurirsi della «natura a buon mercato», ritengo si possa tracciare una cornice di fondo.

Tutta questa riflessione riposa, come ha evidenziato Dipesh Chakrabarty in due suoi importanti saggi oggi raccolti in Clima, storia e capitale (Nottetempo, 2021), sull’abbattimento di un secolare muro tra storia umana e storia naturale (per cui si pensi al verum ipsum factum di Giambattista Vico).
L’ambiente esce quindi dallo sfondo in cui una assai più lenta percezione del suo mutare lo aveva relegato.
Questo avviene perché l’uomo, almeno come specie, è divenuto un fattore geologico, ma al contempo impone una complessa riflessione sulla specie.
Il capitale nella storia ha avuto, secondo lo storico indiano (che da studioso della teoria post-coloniale ha sull’argomento stupito e fatto discutere), un ruolo significativo nel generare la crisi ecologica, ma non esclusivo.
Essa resta primariamente:

Una conseguenza non intenzionale di atti umani e mostra, solo grazie all’analisi scientifica, gli effetti delle nostre azioni come specie

Dipesh Chakrabarty

Dipesh Chakrabarty afferma che tale concetto di specie:

Ci pone di fronte alla questione di una collettività umana, un noi, che allude a una figurazione dell’universale la quale sfugge alla nostra capacità di spiegare il mondo. Somiglia più a un universale che emerge da un senso condiviso di catastrofe

Dipesh Chakrabarty

Al di là della teoria cui si aderisce o della politicizzazione o depoliticizzazione che si imputa all’una o all’altra (e ritengo personalmente che anche quella, molto discussa, di Chakrabarty, pur rifiutando il Capitalocene, tenti di politicizzare il succitato generico anthropos) queste parole restano un modo “difficile” ma altresì esaustivo per rendere l’angoscia e la rassegnazione che si prova ogni volta si pensi alla crisi climatica.
E resta forse una necessaria premessa di ogni tentativo di trovare una risolutiva via d’uscita.

Per approfondire

Il mondo che avrete. Virus, antropocene, rivoluzione

Di Marco AimeAdriano FavoleFrancesco Remotti | UTET, 2020

Atlante dell'Antropocene

Di François GemenneAleksandar Rankovic | Mimesis, 2021

Antropocene. Una nuova epoca per la Terra, una sfida per l'umanità

Di Emilio Padoa-Schioppa | Il Mulino, 2021

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