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Decrescita... e chi era costei? Un’introduzione

Illustrazione digitale di Cecilia Viganò, 2023

Illustrazione digitale di Cecilia Viganò, 2023

Quando si accenna alla decrescita in molti storcono il naso disapprovando quasi per principio. Nell’immaginario comune essa viene immediatamente legata alla decrescita felice e all’idea di un consumo etico (quanto tremendamente elitario) e dell’uomo delle caverne come unico superstite di un mondo di disoccupati, stagnante e in declino.

Le cose non stanno proprio così. Senza recriminare nulla a chi in passato nell’avvicinarsi alla decrescita aveva condiviso e sostenuto simili posizioni, si deve tuttavia notare che il dibattito attuale è molto più articolato, e le migliaia di accademici e attivisti nel mondo che sono in esso coinvolti stanno percorrendo strade che non si limitano affatto alla sola riduzione dei consumi e del metabolismo sociale - l’energia e il volume di produzione (throughput) materiale dell’economia - per rispettare i limiti naturali ed ecosistemici.

L’accento viene, infatti, posto non tanto sul fascino della riduzione (smaller can be beautiful), quanto sulla trasformazione complessiva proposta alla società. Come infatti notano Federico Demaria e Serge Latouche nella voce “Decrescita” curata per Pluriverso. Dizionario del post-sviluppo:

In una società della decrescita ogni cosa sarà diversa: le attività, le forme e gli usi dell’energia, le relazioni, i ruoli di genere, la distribuzione del tempo tra lavoro pagato e non pagato, le relazioni con il mondo non umano

Una definizione che ne ha dato Jason Hickel, autorevole accademico coinvolto nel presente dibattito (di cui merita segnalare, tra le varie opere, almeno Siamo ancora in tempo! Come una nuova economia può salvare il pianeta) può forse aiutare ad approfondire la nostra riflessione.

Per l’antropologo britannico per decrescita si intende «una riduzione pianificata dell’uso di energia e risorse concepita per riportare l’economia in equilibrio con il mondo vivente in modo da ridurre le disuguaglianze e migliorare il benessere umano» (J. Hickel (2021) What does degrowth mean? A few points of clarification, Globalizations).

Decrescita non significa quindi crescita negativa, bensì esprime un processo di transizione dal basso che si pone in antitesi, collocandosi in un universo antieconomico, all’idea di sviluppo sostenibile: uno slogan di successo secondo cui sarebbe possibile rispettare i limiti ambientali e climatici e rispondere alle istanze di giustizia sociale e intergenerazionale restando fedeli alla religione della crescita.

Nodo fondamentale che sul piano teorico (non certo su quello della desiderabilità sociale e dell’opportunità politica) sostiene l’idea di una crescita verde è quello del decoupling (ovvero disaccoppiamento) assoluto fra l’aumento del PIL e la crescita di emissioni climalteranti e dell’uso di energia e materiali.

Tra gli autorevoli studiosi che hanno dimostrato l’infondatezza del disaccoppiamento Hickel e Kallis callidamente rispondono, alla domanda sulla possibilità di una crescita verde, che «(1) non ci sono prove empiriche che il disaccoppiamento assoluto dall’uso delle risorse possa essere raggiunto su scala globale in un contesto di continua crescita economica e (2) è altamente improbabile che il disaccoppiamento assoluto dalle emissioni di carbonio possa essere raggiunto a un ritmo sufficientemente rapido da prevenire il riscaldamento globale oltre 1,5°C o 2°C, anche in condizioni politiche ottimistiche» (J. Hickel e G. Kallis (2020) Is Green Growth Possible?, New Political Economy).

Un concetto, quello di decrescita, che nasce quindi (il primo a farlo circolare fu André Gorz in un dibattito nel 1972) come blasfema provocazione contro un più fortunato avversario teorico per poi ispirare i movimenti sociali già a cavallo del secolo e approdare infine nell’agenda della ricerca accademica.

Ma a ribadire autorevolmente la centralità del paradigma decrescista è infine anche il rapporto sulla mitigazione (AR6 WGIII) redatto dal terzo gruppo di lavoro (Mitigation of Climate Change) dell’IPCC e pubblicato nel 2022.

Nel report, ricco di numerose menzioni e di forti affermazioni sulla decrescita, si afferma che «numerosi studi riportano che solo un approccio volto all’arresto della crescita, alla decrescita o alla post-crescita (post-growth) del PIL possono condurre a una stabilizzazione del clima inferiore ai 2° C».

Uno degli ipotetici scenari cui approdano gli autori del rapporto è che «è possibile una transizione a minori emissioni di carbonio anche in presenza della sostenibilità sociale e, questo, anche in assenza di una crescita economica. Questi percorsi di decrescita possono essere cruciali in quanto combinano la fattibilità della mitigazione, dal punto di vista tecnico, con gli obiettivi dello sviluppo sociale».

Per una vita bella

Marx dice che le rivoluzioni sono la locomotiva della storia universale. Ma forse le cose stanno in modo del tutto diverso. Forse le rivoluzioni sono il ricorso al freno d’emergenza da parte del genere umano in viaggio su questo treno

W. Benjamin, Appendice a Sul concetto di storia, 1940

La scelta di tirare il freno di emergenza non significa, come alcune banali critiche sottolineano, negare l’esigenza di movimento, bensì riflettere su dove realmente si vuole arrivare e con quale mezzo. Limitarsi a deviare la locomotiva della storia universale cambiando binari - sostituendo quindi quelli del socialismo a quelli del capitalismo - mantenendo inalterata però l’intenzione di aumentarne velocità e potenza oppure scegliere di rallentare privilegiando altri bisogni, ragioni e valori?

La meta verso cui si volge la decrescita, come abbiamo in parte già accennato, è quella della «ridefinizione della felicità come “abbondanza frugale in una società solidale”. [...] Una rottura che presuppone che si esca dal circolo infernale della creazione illimitata di bisogni e di prodotti, come pure dalla frustrazione crescente che questa genera e contemporaneamente che si compensi attraverso la convivialità l’egoismo derivante da un individualismo ridotto a una massificazione uniformizzante» (in questi termini Serge Latouche, uno dei “padri” della decrescita, di cui è stimolante quanto utile lettura l’agile libretto Per un’abbondanza frugale, Malintesi e controversie sulla decrescita).

Per soddisfare quei bisogni che aumentano il grado di felicità almeno nelle società del Nord globale l’aumento del PIL, fondato su un’inarrestabile crescita dei consumi (che notoriamente proliferano nell’infelicità) e sul rifiuto di liberare il tempo, non serve a niente.

Servizi pubblici di qualità, più uguaglianza e più democrazia, riduzione del lavoro entropico - in termini quantitativi - e aumento e moltiplicazione del lavoro neghentropico - nella forma della diffusione delle attività di cura e produzione di conoscenza e relazioni sociali intese, finalmente, come produttive di un valore da retribuire - sono invece gli elementi essenziali della soluzione (in questo senso muove la riflessione di Lavoro Natura Valore, André Gorz tra marxismo e decrescita di Emanuele Leonardi, preziosa guida nella terra dell’ecologia politica).

Quello dipinto in queste righe non è un mondo infernale, bensì un’idea di società altamente desiderabile in cui è pur probabile che il PIL diminuisca. Basta farsene una ragione se è il prezzo da pagare per salvare l’ecosistema e poter tutte e tutti vivere una vita bella.

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