Martedì 7 giugno
Il tennis ha perso, a 91 anni, il suo cantore, quel Gianni Clerici da Como che lo ha giocato fin da bambino sui campi del lungolago arrivando fino a Wimbledon, prima di cominciare a scriverne e a farne una bussola per la narrazione della vita.
Il tennis, come si sa, è un mistero: non è uno sport, è una pratica zen, è una metafisica, è un’ascesa (o un’autodistruzione) solitaria.
Il tennis è l’ultima scena di “Blow up” di Michelangelo Antonioni con la partita che non ha bisogno della palla…
Se amate il tennis, avete amato Gianni Clerici, le sue telecronache, i suoi articoli, i suoi libri.
Il tennis sembra un mondo a parte, con le sue antiche regole (e i suoi ribelli) e spesso dà l’impressione di poter esistere ai cambiamenti del mondo esterno.
Ma cosa fanno i tennisti quando lasciano il campo? Ringrazio il mio amico Gianfranco “Elfo” Ascari che ha postato su Facebook questa chicca, ritrovata nelle memorie di Clerici:
“Eravamo in Sardegna, a Cagliari, era il 1968, insieme a Bud Collins del “Boston Globe”, per seguire un incontro di Coppa Davis tra Italia e Ungheria. Rientravamo dalla cena in un ristorante di pesce che ci era stato indicato da Gianni Brera perché ci andava sempre il famosissimo Gigi Riva, Rombo di Tuono.
Rientrando in albergo, pervasi dalla lietezza e dal vermentino, Collins vide uno striscione elettorale del Movimento Sociale e si stupì molto che ci fosse ancora in Italia un partito che si dichiarasse fascista.
Rimboccandomi le maniche, dissi che ci avrei pensato io. Mi arrampicai su uno dei pali e slegai lo striscione da una parte. Quindi mi arrampicai sull’altro palo, ma non ci fu verso di slacciare la corda. Ridiscesi e in quel momento passò l’amico tennista Sergio Tacchini in auto e chiese cosa stesse succedendo. Glielo spiegai, lui legò l’estremità dello striscione al paraurti della sua auto, ingranò la marcia e completò l’opera”.
Grazie per tutto quello che hai fatto, Clerici.
E grazie anche a Sergio Tacchini.
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