Martedì 31 maggio
Da oggi, dopo quasi cento giorni di invasione, una resistenza che ha stupito il mondo, città distrutte, crimini di guerra, deportazione di popolazioni, ricatto alimentare sul pianeta, la guerra ha cambiato passo. L’Unione Europea ha annunciato l’embargo su due terzi delle forniture di petrolio russo, superando con un artifizio l’ultima opposizione dell’Ungheria di Orban, che potrà continuare ad approvvigionarsi via pipeline.
La dimensione finanziaria del provvedimento è destinata ad incidere in maniera decisiva, si spera, sulla possibilità di Putin di finanziare la sua guerra.
L’Europa infatti - è il risultato di decenni di scelte a dire poco decisamente ingenue - aveva deciso di legarsi mani e piedi al rubinetto di Mosca, mettendosi quindi alla sua mercè e chiudendo gli occhi su quanto quella dittatura andava facendo, in Cecenia, in Georgia, in Siria e per ultimo in Ucraina.
Ai valori di oggi, l’Europa finanzia la Russia con 23 miliardi di dollari al mese; se questa fonte di denaro sarà prosciugata, l’esercito russo, già decimato dalla resistenza ucraina, sarà “ridotto alla fame” e convinto a ritirarsi.
E Putin sarà convinto a pensarci bene, la prossima volta.
L’Europa sa che chiede ai suoi cittadini dei sacrifici non indifferenti: aumenteranno i prezzi, si dovrà fare a meno dei condizionatori a palla, l’economia ne soffrirà; ma ci saranno anche dei benefici, perché è stato in realtà posto un freno alla dittatura del petrolio, e alla necessità di adoperare energia che porti pace.
Vento, sole e diversificazione delle forniture non armano eserciti.
Ne 1938 e nel 1939 l’Europa (e l’URSS), calcolarono che fosse più conveniente lisciare il pelo ad Adolf Hitler, con cui – in fin dei conti – si facevano buoni affari.
Non fu la scelta giusta, come tutti ci ricordiamo.
Ora è diverso. Almeno per questo dovremmo ringraziare il piccolo Zelensky.
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