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Fridays for future: a cinque anni dalla prima protesta di Greta Thunberg

Cade quest'anno il quinto compleanno di Fridays For Future, che coincide canonicamente con l'anniversario del primo sciopero per il clima di Greta Thunberg. Il 20 agosto 2018 Greta decise semplicemente di sedersi di fronte al Parlamento svedese con un cartello con su scritto Skolstrejk för klimatet (Sciopero dalla scuola per il clima). Quando partecipai allo sciopero del 20 agosto 2021 a Stoccolma, le attiviste locali mi spiegarono che per la Svezia fu sicuramente un colpo di scena perché la pratica dello sciopero in generale non era tanto comune e diffusa (quanto invece lo era in Italia), soprattutto a livello studentesco. Il fatto che Greta fosse molto giovane creò ancora più stupore nell'opinione pubblica.

Nonostante i media avessero impostato uno storytelling che faceva perno sulla figura della giovane leader che manifesta per settimane in solitudine, già il secondo giorno scesero in piazza con lei molte altre persone giovani che diventarono il nucleo principale del movimento in Svezia. Greta aveva pianificato di scioperare giornalmente solo nelle settimane precedenti le elezioni svedesi, ma di fronte alla partecipazione ai sit-in, il gruppo decise di rendere l’iniziativa permanente ogni venerdì, lanciando l’hashtag “Fridays For Future”. In pochissimi mesi nacquero gruppi locali di Fridays for Future in tantissime città del mondo e il 15 marzo 2019, meno di un anno dal primo presidio in Svezia, si tenne il primo Global Strike for Climate, che vide una partecipazione di milioni di persone in 125 Paesi.

Cosa è cambiato da allora? Che cosa ha segnato quel primo sciopero? E che cosa vuol dire oggi?

Innanzitutto bisogna considerare che il movimento per il clima non è nato con Fridays For Future, ma ha avuto diversi cicli.  Già ai tempi della prima COP per il clima (Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite), nel 1995, ci furono proteste di fronte alla sede del summit. La prima grande ondata nel Nord Globale fu tra il 2006 e il 2009, culminando nelle mobilitazioni per la COP15 di Copenaghen. La seconda ebbe origine negli Stati Uniti nel 2011, con la leadership di attivisti nativi americani che guidarono l’opposizione all’oleodotto Keystone XL. Dal 2018 quindi il movimento per il clima ha semplicemente vissuto la sua terza ondata.

Inoltre, non possiamo parlare solamente di rinascita, ma di un vero e proprio cambiamento di narrazione riguardo la crisi climatica, l’ambientalismo e l’attivismo.

Prima della rinascita del movimento per il clima, la crisi climatica era trattata come un semplice problema ambientale, una questione come un’altra da risolvere per poter andare avanti con il progresso e l’economia intesi in senso tradizionale. La natura esistenziale e sistemica della crisi climatica era totalmente ignorata.

La questione veniva anche sminuita grazie alla scelta accurata dei termini per indicarla, come “riscaldamento globale” e “cambiamento climatico”. Era semplice per chi voleva negare l’evidenza scientifica riferirsi a questi termini, rispondendo a chi parlava di riscaldamento globale con frasi come “in inverno fa ancora freddo” e, a chi parlava di cambiamento climatico, rispondeva che “il clima è sempre cambiato”. Non sono termini necessariamente errati, ma grazie all’insistenza di movimenti come Extinction Rebellion e Fridays For Future e alle richieste della comunità scientifica, i media più progressisti hanno iniziato a parlare di crisi ed emergenza, anche per trasmettere al pubblico l’urgenza della questione climatica.

Fu singolare per esempio il Climate Pledge del Guardian del 2019, che promise di parlare della gravità della crisi in tutto il mondo, di non lasciare spazi pubblicitari a chi estrae combustibili fossili e di raggiungere il target di emissioni nette zero entro il 2030 riportando i suoi progressi in modo trasparente.

Il clima dal 2018 ha anche assunto maggiore importanza nel dibattito e nell'agenda politica. Con il progredire delle manifestazioni e l’aumento della partecipazione, i governi più progressisti non hanno più potuto ignorare il problema del clima. Le proteste in questo caso hanno avuto senza dubbio effetto, sebbene solo superficialmente. Non ci sono infatti state azioni radicali e sostanziali per alterare il corso della crisi climatica, ma sicuramente tantissimi Paesi del mondo hanno dovuto aggiungere il clima tra le priorità della loro agenda politica.

È mutata anche l’attenzione sugli eventi internazionali legati al clima. Per esempio, la COP26 di Glasgow è stata probabilmente la Conferenza sul clima più seguita di sempre, non solamente per il suo contenuto (l’obiettivo era finalizzare l’applicazione dello storico Accordo di Parigi sul clima), ma anche grazie al crescendo di interesse nato proprio dal pubblico e dai media.

Infine, si è modificata radicalmente la narrazione dell'attivismo e della militanza. Se guardiamo alle rivendicazioni del Popolo di Seattle, noto comunemente come movimento No Global, ritroviamo tante istanze del movimento per il clima odierno. Però oggi non c’è più la percezione delle manifestazioni come momenti di disordine e criminalità: le immagini più frequenti sono di giovani con strisce verdi sul viso e cartelli colorati.

Nessuno è troppo piccolo per fare la differenza

Nell'agosto 2018 la quindicenne svedese Greta Thunberg decise di scioperare dalla scuola per richiamare l'attenzione sul mancato rispetto dell'Accordo di Parigi sul clima. Da allora ogni venerdì protesta con un cartellone scritto da lei su cui si legge «Skolstrejk för Klimatet». Quello slogan, quel gesto hanno ispirato migliaia di giovani e sono diventati un fenomeno globale. Studenti e studentesse di tutto il mondo si sono uniti a Greta, tanto da creare un movimento che protesta secondo il motto #FridaysForFuture.

Che effetto ha avuto questo nuovo immaginario dell’attivismo sulla partecipazione e sui risultati della lotta?

Dall’inizio della terza ondata del movimento per il clima sono state elaborate diverse analisi che studiano il cosiddetto effetto Greta Thunberg, che illustra come anche semplicemente conoscere il personaggio possa creare un senso di coesione collettiva. Naturalmente creare una comunità a partire dalla sua persona, non è mai stata intenzione né di Thunberg né di Fridays for Future: l'idea è sempre stata quella di creare una collettività di persone sullo stesso livello con una leadership dei paesi del Sud Globale, quelli più colpiti dalla crisi climatica, per ottenere un cambiamento strutturale. Sebbene la nascita di Fridays For Future sia stata molto spontanea, l’intenzione non era neppure quella di essere semplicemente il movimento dei giovani con i cartelli colorati.

Questo immaginario semplicistico è stato impostato dai media e ha dato man forte alla politica che voleva contenere le richieste di cambiamento, limitando le risposte a palliativi e promesse. I movimenti per il clima, grazie anche a uno scambio intergenerazionale che ha permesso di ereditare l’esperienza di chi aveva partecipato alle prime ondate, erano consci di questo rischio e hanno cercato di distaccarsi il più possibile da questa rappresentazione. Il tentativo era di rendere evidente la natura politica della crisi climatica: d’altra parte, se siamo in questa situazione, è perché sono state prese delle decisioni politiche, come concedere grandi aziende di estrarre e utilizzare impunemente i combustibili fossili, la principale fonte di emissioni di gas serra. Questa natura è effettivamente emersa e continua a diventare sempre più evidente con l’avanzare della crisi climatica, ma le risposte attive della politica continuano a mancare.

Questo accade anche perché il movimento ha subito una battuta d'arresto a causa della pandemia, che non ha distrutto l’attivismo per il clima ma ne ha bloccato la rapida espansione. L'attenzione pubblica e politica si è in seguito spostata sulla guerra in Ucraina e oggi, dopo aver vissuto il luglio più caldo di sempre, è evidente che le riforme strutturali richieste dal movimento per il clima sono più che mai necessarie e sempre più urgenti.

Di fronte a questa urgenza sorgono nuove forme di attivismo, in particolare una riedizione della disobbedienza civile con azioni dirette molto frequenti di piccoli gruppi di militanti.  È un attivismo sempre più polarizzante, che non crea un sentimento di ammirazione nei confronti di chi lo fa ma principalmente di rabbia e fastidio. I movimenti come Ultima Generazione sono consci di questo effetto e lo utilizzano allo scopo di creare abbastanza disordine nella società fino a rendere le risposte della politica inevitabili.

Tuttavia è importante notare come ci siano tante persone preoccupate per il clima che non sono pronte a lanciarsi in questo tipo di attivismo o che semplicemente non possono farlo, per questioni fisiche, personali o economiche. Per mettere davvero in moto un cambiamento radicale, è necessario che si mobiliti il più alto numero di persone possibile e per far ciò serve un ampio ventaglio di tattiche di protesta e modalità di coinvolgimento. Non c’è un unico modo di creare il cambiamento e sicuramente non c’è tempo di sperimentare tentando una forma di attivismo alla volta, perché la crisi climatica avanza vertiginosamente e bisogna abbattere le emissioni di gas serra il prima possibile.

I movimenti devono resistere, trasformarsi e ampliarsi, perché non possiamo più aspettare la prossima ondata dell’attivismo per il clima. Per fare ciò e ottenere il massimo coinvolgimento possibile è fondamentale che le diverse anime dell’attivismo non si facciano la guerra ma imparino a coesistere, se non addirittura a collaborare. Questa collaborazione non può limitarsi all’ecologismo, ma deve creare delle intersezioni con altre forme di lotta basate sul principio della giustizia sociale. Se sta finalmente emergendo la natura politica della crisi climatica, è arrivata l’ora di connettere i puntini e coordinarsi con chi, ad esempio, rischia di perdere il lavoro e le sue fonti di sussistenza a causa delle conseguenze di questa crisi.

Questa convergenza sta già avendo luogo da qualche anno in Italia grazie all’unione di Fridays For Future e del Collettivo di Fabbrica Ex GKN ed è presente in scala ancora maggiore in Francia nel movimento Les Soulèvements de la Terre. Mentre la repressione inizia a farsi più feroce e la crisi climatica avanza, non abbiamo più il lusso di separare le lotte che inevitabilmente sono condizionate dalle condizioni di vita che il clima determina. I movimenti per il clima non devono più cadere nella tentazione di ignorare le altre battaglie sociali, quelle che determinano la vita quotidiana delle persone e che potrebbero permettere loro di preoccuparsi anche di questioni che vanno oltre la loro sopravvivenza. Allo stesso tempo lottare per il clima vuol dire lottare per la vita ed è nell’interesse dell’intera umanità (esclusa ovviamente la piccola minoranza che guadagna grazie a ciò che inquina). Mantenere forme di attivismo diverse e intersecare le battaglie è fondamentale per creare spazio per chiunque voglia partecipare.

Per approfondire

Questa non è un'esercitazione. Una guida

Di Extinction Rebellion | Mondadori, 2020

The rebel toolkit. Guida alla tua rivoluzione

Di Diletta Bellotti | De Agostini, 2021

Nessuno è troppo piccolo per fare la differenza

Di Greta Thunberg | Mondadori, 2019

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