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Transizione ecologica e cambiamento di sistema: le chiavi di lettura per gli Scioperi Globali per il Clima

© fridaysforfutureitalia

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Oggi, 3 marzo 2023, è in corso in tutto il mondo il Global Strike di Fridays For Future. Dopo 5 anni di movimento, è la decima chiamata globale per riempire piazze e strade per chiedere un cambio di rotta alla politica nella direzione dell’azione climatica. Sebbene quello del corteo per il clima sia ormai un rituale, non si può negare che una serie di cambiamenti nella sensibilità delle persone e nell’agenda della politica ci siano stati. Allo stesso tempo tutto ciò non è minimamente abbastanza e negli ultimi mesi l’Italia sembra fare addirittura dei passi indietro. In queste condizioni lasciarsi prendere dallo sconforto è semplice, ma sono questi i momenti in cui bisogna unirsi e mostrarsi come una massa compatta.

Proprio perché la pressione che arriva dal pubblico è fondamentale, è anche utile comprendere pienamente la posta in gioco e le richieste che vengono poste alla politica durante le manifestazioni. Perciò, ecco un piccolo glossario con le parole chiave che potreste sentire nel campo dell’attivismo per il clima.

Azione climatica

Il termine deriva dall’inglese climate action e indica tutte quelle attività e politiche che possono ridurre le cause e l’impatto della crisi climatica. É difficile risalire all’origine precisa del termine, probabilmente è stato usato da quando sono nate le prime preoccupazioni sulla crisi climatica. A renderlo noto sono stati sicuramente i movimenti per il clima del passato e del presente, ma anche il suo utilizzo nella lista dei Global Goals dell’ONU. L’azione climatica consiste in diverse misure politiche, economiche e sociali per la collettività e non va confusa con un semplice cambiamento di abitudini individuali.

Transizione ecologica

Il termine viene accennato per la prima volta negli anni 70, in particolare si ritrova nel celeberrimo Rapporto sui Limiti della Crescita del 1972 (detto anche Rapporto Meadows), che parlò di “transizione da un modello di crescita a uno di equilibrio globale”. Per transizione ecologica intendiamo tutte le misure necessarie per rendere la vita umana compatibile con i limiti del pianeta. Questo implica in primo luogo di fare tutto il possibile per arginare la crisi climatica e le altre catastrofi ambientali, ma include anche una visione politica ambiziosa che combatta le cause più profonde delle crisi che viviamo. Secondo il Rapporto Meadows, lo sviluppo economico ha dei limiti fisici. Noi oggi stiamo iniziando ad osservare quei limiti con i nostri occhi.

Si evincono perciò due lezioni fondamentali. La prima è che transizione ecologica è un termine più accurato di sviluppo sostenibile perché il secondo potrebbe essere ingannevole: dobbiamo superare l’idea che lo scopo delle politiche sul clima sia quello di trovare una scappatoia per continuare a crescere economicamente e accettare l’idea che tutte le altre branche della politica devono considerare i loro effetti sul clima.

La seconda è che la transizione non può essere pianificata ed eseguita in un ministero o una commissione, ma deve essere un processo sistematico che si svolge su diversi livelli. E’ importante il coordinamento tra piani governativi e amministrativi diversi (locale, nazionale, regionale, globale) come lo sono le collaborazioni e i legami tra ambiti politici apparentemente diversi (economia, energia, trasporti, istruzione, sanità, agricoltura, etc.). Da qui deriva lo slogan “System change, not climate change” (cambiamo il sistema e non il clima).

Intersezionalità

Si tratta di un concetto che ha origini giuridiche e sociologiche. E’ stato coniato dalla giurista statunitense Kimberlé Crenshaw nell’ambito dei suoi studi sulla doppia oppressione che subiscono le donne nere in America, ovvero razzismo e sessismo. Il termine si è evoluto a indicare come diverse caratteristiche dell’identità sociale di un individuo lo portino a essere più privilegiato o più discriminato. In altre parole, il concetto permette di osservare le disuguaglianze in modo più profondo e evidenzia come queste si intersecano le une con le altre. Nell’ambito delle politiche per la lotta alla crisi climatica l’intersezionalità è una lente fondamentale per capire chi subirà o sta già subendo le conseguenze più nefaste della catastrofe. Ad esempio, una donna povera che vive in un paese del cosiddetto Sud Globale che in passato è stato colonizzato ed è oggi particolarmente vulnerabile alla crisi climatica è sicuramente più a rischio di me, donna bianca in Italia. In base a questo tipo di analisi si potranno definire dei percorsi di transizione ecologica che siano equi e duraturi.

Giustizia climatica

Idea di giustizia che si fonda su una visione intersezionale della crisi climatica, delle sue cause e delle sue conseguenze. Il concetto di giustizia climatica attraversa diverse discipline, tra cui l’etica, la politologia e la giurisprudenza. La giustizia climatica venne discussa già durante le prime negoziazioni dell’ONU sul clima nel 1990, ma il primo Summit per la Giustizia Climatica fu organizzato da movimenti per il clima, l’ambiente e la giustizia sociale solo nel 2000, come risposta dell’attivismo alla Conferenza sul clima che si stava tenendo a L’Aia. Quando si parla di giustizia climatica ci si riferisce soprattutto alle questioni legate alle responsabilità della crisi (in parole povere: chi ha inquinato paghi), ai fondi e alle misure per rispondere alle disuguaglianze sociali ed economiche che questa genera e ai risarcimenti per i Paesi che non hanno causato l’emergenza ma la stanno subendo in prima linea.

Greenwashing

Traducibile come “ambientalismo di facciata”, il greenwashing è una strategia comunicativa complessa e, purtroppo, efficace elaborata dalle compagnie inquinanti per mostrarsi attente al clima e all’ambiente al pubblico e nel frattempo procedere con le attività dannose. Il termine è una sincrasi tra “green” (verde) e “washing” (lavaggio) e fa quindi riferimento a una metaforica pennellata di verde che i soggetti inquinanti danno alle proprie politiche senza cambiare nulla nella sostanza. E’ stato coniato da uno studente ambientalista statunitense, Jay Westerfield, che scrisse un saggio partendo dalla sua esperienza in un hotel nelle Isole Fiji. Mentre agli ospiti veniva chiesto di riutilizzare gli asciugamani per proteggere la barriera corallina dalla distruzione ambientale, la catena del resort la stava mettendo ancora più in pericolo espandendosi nel resto dell’isola. Da una semplice esperienza con gli asciugamani, il neologismo è stato ripreso dai media ed è oggi utilizzato per puntare il dito verso chi, non potendo più negare la crisi climatica, finge di affrontarla per continuare a fare i propri interessi.

 

Questo glossario rimane uno strumento molto sintetico e limitato; sono molte di più le parole dell’attivismo per il clima che potreste aver sentito. L’unico modo per scoprirle. saperne davvero di più e imparare a usarle è scendere in piazza e parlare faccia a faccia con chi le usa tutti i giorni.

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