Lunedì 21 novembre
Ho davanti a me una magnifica copertina del New York Times magazine: un binario colpito da una bomba, in mezzo a una terra desolata.
Siamo in Ucraina. Il titolo dell’inchiesta dice: “la linea della vita lunga 15.000 miglia”, un’inchiesta sul sistema ferroviario dell’Ucraina e di come ha retto all’invasione russa.
230.000 ferrovieri, il sapere e il mestiere di un secolo, il patriottismo, hanno permesso alle ferrovie ucraine di sfollare ordinatamente diversi milioni di passeggeri, di resistere alle quotidiane bombe sui binari e nelle stazioni, di imbarcare la più grande quantità di armi fornite dall’Occidente e di recapitarle al fronte.
L’inchiesta, firmata da Sarah A. Topol, le splendide fotografie sono di Adam Ferguson, ci verrà utile alla fine della guerra per sapere chi ringraziare.
A me, però ha anche fatto venire in mente un tumulto di memorie, che riguardano i treni e quella parte d’Europa.
Mi ricordo che Lenin arrivò in Russia in treno nel 1917 - il famoso vagone blindato, che viaggiò dalla Germania alla stazione in Finlandia . Mi ricordo che Trotzky guidò, spietato, l’Armata Rossa dal treno attraverso le sconfinate lande innevate e insanguinate dalla guerra civile.
C’era poi la rete ferroviaria organizzata da Adolf Ecihmann per convogliare da mezza Europa milioni di ebrei verso Auschwitz.
Perché gli Alleati non bombardarono quei binari? E avrebbero potuto farlo, a partire dal 1943?
Ho rivisto, nella memoria, il documentario di Claude Lanzmann sull’Olocausto, anno 1985, in cui l’autore arrivava ad Auschwitz su un treno, accanto a un macchinista allegro e ad una natura straordinariamente verde. E le scene del film di Spielberg, Schindler’s List, con un ragazzino che guarda passare il treno, quotidiano, e si diverte a insultare in anticipo gli occupanti dei carri bestiame, anche se sa che non possono vederlo. Trainspotting e trainmobbing.
Mi ricordo di Macron, Draghi, Boris Johnson che arrivarono a Kiev bombardata, in treno, un secolo dopo Lenin. Mi ricordo che gli ucraini si sono sempre vantati, anche nei momenti peggiori: “i nostri treni viaggiano in orario”.
E poi c’è anche un libro oggi diventato famoso , La ferrovia sotterranea, di Colson Whitehead, che racconta di quella speranza – o era realtà? – che circolava tra i milioni di schiavi d’America; c’era una ferrovia segreta che – a raggiungerla! – avrebbe portato alla libertà.
Tutto questo per dire che i ferrovieri ucraini sono i miei eroi del momento. E spero che sentiremo parlare molto di loro, e della lezione che hanno dato al mondo.
Nota della redazione: Per chi volesse approfondire ulteriormente, a questo link c'è la pagina dedicata ai libri che spiegano le ragioni del conflitto Russia - Ucraina
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