Passato di letture

I fastidi della storia. Quale America raccontano i monumenti di Arnaldo Testi

Dopo gli assai pubblicizzati episodi di iconoclastia degli ultimi anni, tra statue abbattute o variamente contestate e imbrattate, «il mio interesse per il destino dei monumenti negli Stati Uniti è maturato», dichiara l’americanista Arnaldo Testi in apertura di questo libro, «dall’irritazione a sentir citare continuamente la cancel culture» – anche se i monumenti davvero cancellati sono stati appena lo 0,6% del totale.

Finalmente! ho pensato io, condividendo appieno tale irritazione: qualcuno che ne sa davvero ha deciso di porre un argine alla fin troppo frequente evocazione a sproposito, soprattutto nella stampa di destra, della famigerata “cultura della cancellazione”, come manifestazione radicale del “politicamente corretto”.

I fastidi della storia. Quale America raccontano i monumenti

Raccontando la vicenda di alcuni monumenti in una società conflittuale quale è quella degli Stati Uniti, Arnaldo Testi affonda lo sguardo nel cuore magmatico del paese e della sua storia. A emergere è il ritratto di un'America immaginata e imperfetta e delle sue autorappresentazioni, delle polarizzazioni e dei compromessi che l'hanno percorsa, e delle tensioni che oggi l'attraversano.

La lettura di questo saggio breve, godibile, assai documentato e insieme piacevolmente ironico, non ha deluso le mie aspettative. Le polemiche intorno alle statue di personaggi razzisti, schiavisti e quant’altro e al loro destino, negli Usa come nel resto del mondo (a Milano si è trovata al centro delle polemiche la statua di Indro Montanelli, che, giovane militare fascista in Etiopia, aderì entusiasta alla pratica abominevole del madamato, comprandosi una “sposa bambina” dodicenne, esperienza che difese fino a tarda età) hanno infatti una storia ben più lunga e complessa.

Testi fissa alcuni punti fondamentali:

1) in primis, è l’autorità che colloca il monumento a scegliere di celebrare (non semplicemente commemorare) un pezzo di storia a discapito di altri, che sono di fatto cancellati, a seconda dei valori e del discorso pubblico che intende promuovere e consolidare: possiamo davvero stupirci se, decenni o secoli dopo, qualcuno vuole fare lo stesso?

2) per questo motivo, la scelta e collocazione dei monumenti è oggetto di dibattito, polemiche e contestazioni sin dall’origine, solo che non ce ne ricordiamo più;

3) nella stragrande maggioranza dei casi, il monumento “non conteso”, in realtà, non è quello pacificamente accettato dalla comunità, ma quello irrilevante: uno dei tanti pezzi dell’arredo urbano divenuti virtualmente invisibili;

4) spesso i monumenti sono francamente orrendi, oltre che politicamente imbarazzanti, ma non si possono toccare in quanto beni storici.

Segue poi una disamina di casi dal Settecento al XXI secolo, passando per la magra ma significativa compagine femminile (dalle molte statue della libertà a Rosa Parks), “il monumento che non c’è” a immigrati e “indiani” e la statua al gerarca fascista Italo Balbo eretta a Chicago per la trasvolata atlantica del 1933. Una storia turbolenta e contraddittoria, forse iscritta nell’ironico “peccato originale” della storia degli Stati Uniti, che nascono da una rivolta contro la madrepatria coloniale che ebbe tra i suoi primi atti proprio l’abbattimento della statua equestre di re Giorgio III, il Royal Brute of Britain. I padri della democrazia americana non volevano che fossero elette statue in loro onore, ma i loro epigoni tradirono questa volontà, commissionando statue neoclassiche a volte imbarazzanti nelle loro muscolose nudità... Insomma, chi di statua ferisce, di statua perisce!

Abbinamento per buongustai

Per ripulirsi bene la bocca dal retrogusto di sproloqui sulla cancel culture, piluccare anche Alice Borgna, Tutte storie di maschi bianchi morti... (Laterza, 2022) sul presunto attacco alla classicità greco-romana portato dai paladini della cultura woke statunitense.

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