Cult!

Omeros: il cult di Jamaica Kincaid

La delicatezza di una scrittrice domenicana, la voce di un poeta santaluciano.

Un fil rouge salta subito all’occhio, un filo che richiama a distanza la vita di Derek Walcott, Premio Nobel per la Letteratura nel 1992, e Jamaica Kincaid, scrittrice di fama mondiale, che abbiamo avuto l’onore di intervistare a proposito del suo ultimo romanzo, Biografia di un vestito (Adelphi).

Oltre alla comune origine caraibica, però, c’è qualcos’altro. Derek Walcott è stato infatti quello che Jamaica Kincaid non è mai riuscita a diventare, per sua stessa ammissione: un eccezionale poeta. Di fronte alla certezza di una poesia mediocre, Jamaica ha preferito l’incertezza della via narrativa, e possiamo dire per sua e nostra fortuna.

È certa che niente sia più alto e necessario di una poesia e di un poeta meritevoli di questo nome, neanche un grande romanzo. È per questo che la sua opera cult è il lavoro di Derek Walcott, la sua intera poetica, particolarmente incarnata nelle pagine di Omeros (che in Italia leggiamo in edizione Adelphi).

Omeros è un poema epico, scritto però nel 1990. Siamo lontani secoli e secoli da quelle forme, quei mondi, quelle narrazioni, eppure Derek Walcott ha scelto di riscrivere in chiave contemporanea l’Iliade e l’Odissea omeriche.

Un’opera mastodontica, divisa in sette libri, scritti in terzine simil-dantesche, con al centro le vicende di due eroi dei giorni nostri, Ettore e Achille. Non combattono per la gloria eterna, c’è una donna contesa, ma sullo sfondo il vero nemico è la colonizzazione degli imperi francese e inglese, combattenti per l’isola caraibica.

Tornano i temi tipici di Jamaica Kincaid e Derek Walcott: la paura di un’usurpazione storica, culturale e linguistica (che di fatto c’è stata), che spazza via abitudini e persone, in nome di un’inesorabile globalità. Ci si può piegare, come Ettore che diventa un tassista, o si può fuggire e, inseguendo romanticamente i propri credo, andare per mare come antichi guerrieri (la strada prediletta da Achille).

Non c’è niente di male, né nell’una né nell’altra via, ma c’è la coscienza di chi sa e racconta quello che è successo, tramandando, come antichi aedi, le voci, i suoni, i colori del tempo che fu. Questa profusione di immagini e di lucentezza del mare, di metafore e multilinguismo sono la ricchezza, giustamente celebrata, dalle opere di Derek Walcott e, nella scia della sua ombra – o per meglio dire della sua luce – di Jamaica Kincaid.

La posta della redazione

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Conosci l'autore

(Castries, Santa Lucia, 1930) poeta e drammaturgo caraibico. La sua formazione è legata all’esperienza della realtà multiculturale caraibica, che si esprimerà nelle opere come ricerca di identità attraverso una armonizzazione di componenti diverse. Dopo aver frequentato a New York un corso di teatro, si è stabilito a Trinidad dove ha fondato nel 1959 il Trinidad Theatre Workshop, che ha diretto fino al 1976 e per il quale ha scritto numerosi testi. Si è occupato anche di critica d’arte come collaboratore di periodici. Nella sua opera poetica la tensione fra tradizioni letterarie differenti si risolve in un’alta padronanza formale. Tra le principali raccolte si ricordano: In una verde notte (In a green night, 1962, nt), Il naufrago (The castaway, 1965, nt), Il golfo (The gulf, 1970, nt), Un’altra vita (Another life, 1973, nt), Mezza estate (Midsummer, 1984, nt), Omeros (1990), Prima luce (The Bounty, 1997), Il levriero di Tiepolo (Tiepolo’s hound, 2000), Il prodigo (The prodigal, 2004, nt), Poesie scelte (Selected poems, 2007, nt). Tra i testi per il teatro: Ti-Jean e i suoi fratelli (Dream on Monkey Mountain, 1970), Il burlone di Siviglia (The joker of Seville, 1978, nt), Oh, Babilonia! (Oh Babylon!, 1979, nt), L’ultimo Carnevale (The last Carnival, 1986, nt), L’Odissea (The Odyssey, 1993), La trilogia haitiana (The haitian trilogy, 2002). Nobel per la letteratura 1992.

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