Nelle pagine finali di questo libro Taguieff si chiede: «Come combattere le narrazioni complottiste evitando gli atteggiamenti che rischiano di generare effetti perversi?».
«La questione – prosegue – si pone nella misura in cui gli anticomplottisti si accontentano a volte di ridicolizzare i complottisti, di mostrarsi aggressivi o di esprimere disprezzo verso di loro, per esempio trattandoli come paranoici o negando loro la minima capacità di razionalità». E conclude: «Il metodo più efficace è la fredda critica demistificatrice, che consiste nel rifiutare le tesi complottiste, senza accanirsi contro i loro sostenitori».
Negli ultimi anni stiamo assistendo a eventi globali drammatici come la pandemia, la guerra, la crisi economica e con essi alla diffusione di una serie di teorie del complotto. Il complottista raffigura uno o più gruppi che agiscono in segreto per realizzare un progetto di dominio o sfruttamento. Si suppone che i cospiratori fantasticati siano la radice di tutti i nostri mali. Il motore di questi ragionamenti?
Libro sia per razionalisti scettici sia per affascinati dalle teorie del complotto seriamente intenzionati ad abbandonare la loro posizione di comfort, Complottismo chiede al suo lettore di mettersi in gioco. Perché, risponde Taguieff, la semplice ridicolizzazione delle visioni complottiste non ha effetti. Ma anche ammesso che nel corso della storia abbia avuto successo, aggiunge l'autore, nell'epoca della diffusione del sapere per via digitale, quella tecnica - magari consolidata in età moderna e contemporanea tra XVII e XX secolo - risulta del tutto inadeguata.
Cosa è cambiato oggi? Un dato su cui insiste Taguieff è che se a lungo gli anticomplottisti hanno pensato di scomporre e disintegrare il credo complottista proponendo sé stessi come l’incarnazione del pensiero critico, una delle manifestazioni di cui si carica il complottismo oggi è esattamente quella di accreditarsi come «pensiero controcorrente», come il canone dell’anticonformismo, come dimostrazione del non soggiacere al pensiero dominante.
E dunque di esigere una spiegazione che non sia rivolta a mettere a nudo le proprie debolezze, ma a dimostrare la fondatezza – meglio: l’indipendenza dai poteri forti – della convinzione che si accredita come «non complottista».
In questo senso il complottismo non è la resistenza al cambiamento, ma è la convinzione dell’autonomia di chi non vuole soggiacere a ciò che descrive come potere dominante.
Significa il terreno dove oggi si può decidere l’esito dello scontro e che consiste nel rivolgersi gli indecisi, articolando una rinnovata pratica di ascolto, più che una aggiornata retorica dell’argomentazione.
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