Nella cornice del Salone del Libro di Torino 2023, all’interno dello stand della casa editrice L’orma, in occasione dell’uscita dell’audiolibro Gli anni di Annie Ernaux (qui la recensione di Maremosso), abbiamo incontrato Sonia Bergamasco che, oltre a esserne la voce narrante, lo ha indicato anche come suo libro cult.
Scandita dalla descrizione di fotografie e pranzi dei giorni di festa, questa «autobiografia impersonale» immerge anche la nostra esistenza nel flusso di un'inedita pratica della memoria che, spronata da una lingua tersa e affilatissima, riesce nel prodigio di «salvare» la storia di generazioni coniugando vita e morte nella luce abbagliante della bellezza del mondo.
Quello che questo romanzo racconta parte da una serie di fotografie della memoria dell'autrice. Spaziano nei grandi eventi della storia moderna che lei stessa ha vissuto sulla sua pelle. Lo fa alla sua maniera, in una «autobiografia impersonale» che sugella gli anni del Sessantotto, come l'elezione di Mitterrand, la tragedia delle Torri Gemelle, passando fra l'esperienza della maternità, l'emancipazione femminile, il rapporto con il desiderio.
E così un giorno saremo nei ricordi dei figli in mezzo a nipoti e a persone che non sono ancora nate. Come il desiderio sessuale, la memoria non si ferma mai. Appaia i morti ai vivi, gli esseri reali a quelli immaginari, il sogno alla storia
La capacità di Ernaux, però, è quella di tenere le tracce di questo romanzo come farebbe un’esperta archeologa, come se fra le mani ci fossero pezzi di storia da custodire, guardandoli tanto con riconoscenza quanto con curiosa metodologia.
L’evocazione del ricordo diventa così un materiale altro, comune, che riguarda tutti – una sorta di noi che protegge frammenti di quello che si è stati e ci ha attraversato: lo scorrere di un singolo che entra nel letto del fiume di quella storia con la maiuscola, che si vive e si compone insieme, ma di cui ci si rende conto poi.
Non sa cosa stia cercando in quegli inventari, forse, a furia di accumulare ricordi di oggetti, vuole ridiventare ciò che è stata. Vorrebbe unificare la molteplicità di quelle immagini di sé, separate, non accordate fra loro, tramite il filo di un racconto, quello della sua esistenza […]. L’esistenza di un singolo individuo, dunque, ma allo stesso tempo di una generazione
La scelta di portare avanti questa narrazione senza l’uso dell’io impersona appieno l’essenza del libro. C’è una terza persona che riporta in scena tutto, svuota sul tavolo delle reminiscenze che smettono di esistere in una forma di appartenenza personale e si piegano, generose, alla collettività.
La peculiarità autobiografica dello stile di Ernaux porta alla dimenticanza di essere immersi nella sua esperienza – il suo ricordo o il mio? La sua storia o la mia? La nostra?
C’è qualcosa di commovente nell’evocazione, l’autrice Premio Nobel questo lo sa bene, e continua a perpetuare, nel suo drappo formale e stilistico, una filiazione col passato che è un terreno comune in cui ciascuno si rivede. Scuce e ricuce, intessendo una storia che non parla mai al singolare, che rimugina su sé stessa senza immalinconirsi negativamente, ma accettando quello che c’è, nella polvere della Storia che siamo, nel fugace passaggio che – in fondo – preoccupa tutti. Cosa saremo poi? Nel frattempo, la letteratura fa questo: fin che può, con l’inchiostro, segna tutto.
È un libro che apre mondi
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