«La morte sopravverrà a metterci in riposo, a toglierci dalle mani il compito a cui attendevamo; ma essa non può fare altro che così interromperci, come noi non possiamo fare altro che lasciarci interrompere, perché in ozio stupido essa non ci può trovare». Sono le parole finali della riflessione datata 25 febbraio 1951, qui proposta con il titolo di Soliloquio – titolo che Giuseppe Galasso, il tessitore di questa antologia sceltissima, aveva predisposto per celebrare il 150° della nascita (2016) in una lettura pubblica tenuta da Toni Servillo al Teatro Bellini a Napoli e che ora dà il nome a questa raccolta.
Un'antologia capace di farci vivere dall'interno il dialogo che Croce ha intrattenuto con sé stesso e di svelarci le ragioni di un'attività tanto prodigiosa, che nasce da un'intima tendenza alla letteratura e alla storia e che varca i confini dell'erudizione per poi aprirsi alla vita politica e sociale.
Una considerazione, quella finale, che va letta alla luce della riflessione autobiografica che Croce scrive al compimento dei cinquant’anni (Contributo alla critica di me stesso, Adelphi) pubblicata nel 1915 – e che apre questo volumetto, piccolo e prezioso –, quando dice che prova fastidio per «la rettorica liberalesca, nausea per la grandiosità di parole e per gli apparati di qualsiasi sorta», stima «per quel che si fa di utile e di sodo, da qualunque parte venga».
Una considerazione che si conferma in molti passaggi esemplari: quando sottolinea che un pensiero è soprattutto collaborazione, «non prodotto isolato di un singolo autore» [p. 36]; quando, all’indomani di Caporetto (novembre 1917), riflette su che cosa sia l’orgoglio nazionale, distinguendolo dalla «rivincita» [p. 55]; quando il 5 novembre 1918, il giorno dopo la fine della Prima guerra mondiale, elogia la lezione morale degli eroi vincitori di Shakespeare che tornano a casa avendo battuto i nemici, ma il cui primo pensiero è non dimenticarsi del loro lato umano [p. 63]. Da ultimo, cosa significa prendere la misura del proprio tempo, quando si è minoranza e trionfa invece il totalitarismo fascista, e molti conoscenti passano dalla parte del vincitore. «Credevamo di conoscerci – scrive – e non ci conoscevamo ed eravamo estranei» [pp. 81-82].
Piero Craveri, nella sua introduzione essenziale e commossa, traccia il profilo di quella scelta di passi messa a terra da Galasso. Una scelta attenta a una pratica di scrittura che più di tutto ha il pregio di cogliere la prospettiva di lungo periodo nelle parole che sembrano vivere solo nel momento immediato della scrittura. Una qualità rara.
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