A Milano c’è troppo inquinamento luminoso e le stelle puoi vederle solo al planetario dei giardini di Porta Venezia, ma anche con il miglior telescopio sarebbe difficile scorgere i corpi minori, quei corpi celesti di dimensione talmente ridotta da avere una limitata rilevanza astronomica.
Partendo da una attitudine rigorosa, analitica, fenomenologica nei confronti del reale, Bazzi trova sintesi espressive illuminanti e restituisce tutta la potenzialità estetica latente in ogni nostro gesto e manifestazione, disegnando un percorso di formazione ricchissimo e ultracontemporaneo.
Nel romanzo di Jonathan Bazzi – seconda prova narrativa dopo il successo di Febbre - sono corpi minori tutti i corpi osservati attraverso la lente rosa del desiderio. Con la consueta attitudine rigorosa e analitica di chi scruta il cielo alla ricerca di una forma di vita, l’autore punta il microscopio sulle relazioni umane indagando la complessa fenomenologia dei sentimenti: siamo ancora innamorati della persona che abbiamo al nostro fianco? Lo siamo mai stati?
Tra le pagine di Corpi minori, Jonathan Bazzi è interessato a fermare il tempo e cogliere l’istante in cui il dubbio esplode, come un piccolo big bang, originando una galassia di domande.
“Il libro inizia con il protagonista che una sera, all'ora di cena, mentre sta aspettando il tram con il suo ragazzo, viene attraversato come da un lampo da un pensiero che è quello della possibilità di non amarlo. Attraverso la metafora delittuosa della vivisezione dell'amato inizia questo loop di domande ossessive – in una specie di deriva psicopatologica – che parte dall'innamoramento e da quello che accade quando l'amore osa durare. Questo è uno dei temi del libro, così come il tema della perturbazione e della ricerca di una propria posizione. Siamo portati a chiederci chi siamo, alla luce di queste domande.”
Il tuo libro disegna una cartografia interessante attorno al desiderio, alla storia degli amori e ai tuoi pensieri: la città di Milano occupa un posto di rilievo...
Milano è una città che ho desiderato tanto, forse ancora prima di cominciare a rendermi conto di desiderarla. Io sono cresciuto in periferia, alle porte dell'hinterland sud di Milano e per me da piccolo venire qui, anche se si trattava di spostarsi solo di pochi chilometri, rappresentava sempre immergermi in una dimensione sognante. Milano è la mia città e lo scrivo anche in Febbre: sono cresciuto a Rozzano ma sono nato a Milano, all'ospedale Niguarda. La mia è una sorta di rivendicazione perché la prima origine sta qui, ma il passaggio tra l'idealizzazione e la realtà è sempre pieno di movimenti di assestamento, delusioni e compromessi più o meno intensi.
Mi interessava raccontare questo movimento e questo spazio tra i due piani.
Il tuo protagonista è ossessionato dal desiderio di percorrere questi 3 km e mezzo che separano Rozzano e Milano, quindi proviamo a dare i numeri: te ne citiamo alcuni che ci sono venuti in mente leggendo i tuoi libri e tu lavori per associazione di idee.
Partiamo dal 15.
Il 15 è il tram che collega Rozzano al centro di Milano e quindi sin da quando ero piccolo è sempre stata una presenza piena di significati perché rappresentava questa distanza: salire sul 15 significava compiere e riempire quella distanza che quando ero piccolo ho sempre sentito raccontare come considerevole. La mia famiglia ne parlava come si trattasse di cambiare regione.
Io invece sono nato con un sentimento diverso: io quella città, Milano, la sentivo vicina. Molto più vicina.
Il secondo numero è 37,2.
37,2 è la mia temperatura corporea dai primi sei mesi del 2016: ho ragionato a lungo su questa febbre, sia nel suo senso primario quindi appunto come sintomo legato a una diagnosi, sia come concetto. La febbre è uno stile di difesa del corpo, un po' come il posto in cui sono cresciuto porta ad adottare un permanente stile di difesa, visti i tentativi di aggressione verbale e non.
In ogni posto c'è un diverso modo di usare la voce e interagire gli uni con gli altri, e ho intravisto in questo elemento delle potenzialità narrative: poteva essere interessante raccontare quelle cose che non rappresentano spesso l'esperienza comune.
Questa intervista vedrà la luce pubblicamente a festival concluso, ma stasera sarai a Sanremo, e allora non possiamo non chiederti il tuo personale vincitore…
Per me hanno già vinto Mahmood e Blanco, spero che si riconosca il loro talento. Sia singolarmente come artisti, sia insieme con la canzone Brividi. Trovo che siano pieni di cose da raccontare.
Jonathan ha 31 anni nel 2016, un giorno qualsiasi di gennaio gli viene la febbre e non va più via. Aspetta un mese, due, cerca di capire, fa analisi, ha pronta grazie alla rete un’infinità di autodiagnosi, pensa di avere una malattia incurabile. La sua paranoia continua fino al giorno in cui non arriva il test dell’HIV e la realtà si rivela: Jonathan è sieropositivo, non sta morendo, quasi è sollevato.
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