Diario di bordo

L'arresto del boss: Matteo Messina Denaro in manette

Immagine tratta dal libro "U siccu. Matteo Messina Denaro: l'ultimo capo dei capi" di Lirio Abbate, Rizzoli, 2022

Immagine tratta dal libro "U siccu. Matteo Messina Denaro: l'ultimo capo dei capi" di Lirio Abbate, Rizzoli, 2022

Lunedì 16 gennaio 2023

Arrestato o consegnato? Un minuto dopo l’arresto, dopo 30 anni di latitanza, di Matteo Messina Denaro, il dilemma – decisamente non nuovo nella storia della mafia – è esploso. E non poteva essere altrimenti, perché appena due mesi fa era stato preannunciato, in tutti i particolari, nella trasmissione di Massimo Giletti. Lì aveva parlato il vecchio protettore della latitanza al nord dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, gli autori delle stragi del '92-'93, tale Salvatore Baiardo:

“L'unica speranza per Giuseppe Graviano, sinceramente me lo auguro anche io per loro perché sono giovani, è che venga abrogato questo ergastolo ostativo". "C'è anche un nuovo governo e chi lo sa che non arrivi un regalino... E chissà che magari presumiamo che un Matteo Messina Denaro sia molto malato e faccia una trattativa per consegnarsi lui stesso per fare un arresto clamoroso? E così arrestando lui esca qualcuno che c'ha l'ergastolo ostativo senza che ci sia clamore...”.

Dunque, tutto il mondo sapeva. E in particolare lo sapeva Matteo Messina Denaro, il quale non ha potuto cambiare le sue abitudini.
Affetto da cancro (non è stato ancora rivelato dove la malattia lo abbia colpito), in attesa – con il nome “Bonafede” - del suo turno per la chemio, cosa che faceva da almeno un anno alla clinica Maddalena di Palermo.
Questo è un luogo che i palermitani conoscono bene, enorme e modernissima struttura di eccellenza per malati oncologici, fondata una quarantina di anni fa dal prof. radiologo Guido Filosto, che si dotò dei migliori macchinari (che la sanità pubblica non aveva, o non voleva avere).
Oggi la Maddalena, diretta dai figli di Filosto, è un impero ed un vanto della città.

Una seconda coincidenza: poche settimane fa è entrato con i suoi piedi nel carcere di Opera, condannato definitivamente per favoreggiamento di Cosa Nostra – e in particolare di Matteo Messina Denaro - il barone Antonio D’Alì, fondatore di Forza Italia a Trapani, amico intimo di Silvio Berlusconi, per ben due volte sottosegretario al ministero degli Interni, con delega alla gestione dei “pentiti di mafia”.
Ne parlavamo qui su Maremosso

Insomma, un bel po’ di coincidenze...
Ora ci si aspettano novità governative sulla condotta da seguire per il prosieguo della “lotta alla mafia”. Sempre secondo Bajardo, che sarà presto rivalutato come grande mafiologo, a beneficiarne saranno i fratelli Graviano, che potrebbero usufruire – per il ruolo da loro avuto nella cattura di Matteo Messina Denaro, così come lo ebbero nella cattura di Totò Riina, 30 anni fa – di sconti di pena.

Ne riparleremo presto….

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