Diario di bordo

Un indiano per salvare l'Impero

Martedì 25 ottobre

Se siete già stanchi delle piccole miserie della nostra ritrovata italietta, che aspira a diventare “sovrana” e a governare il mondo come la Roma degli Imperatori, vi consiglio di seguire la fascinosa conclusione del possibile, definitivo tramonto dell’impero britannico.

Poco più di un mese fa i funerali di Elisabetta  - indimenticabili, quelle ossessive marce militari - lo avevano reso eterno, oggi il Partito Conservatore allo sbando ha dovuto nominare primo ministro Rishi Sunak, indiano di nascita e hindu di religione, nato appena trent’anni dopo l’indipendenza. Sono i risultati della Brexit, sei anni fa, quando una risicata e imprevista maggioranza di inglesi, memore dell’antica gloria coloniale e stufa di immigrati e di burocrati di Bruxelles, votò con l’illusione di tornare al passato, ovvero che ci fosse qualcuno che lavorasse docilmente per loro. Fu il primo caso di “sovranismo”, cui seguirono il Make America Great Again di Trump, il grillismo e il salvinismo da noi, tutti all’ombra delle mire di Vladimir Putin.

Quando gli inglesi hanno nostalgia del passato, il grumo del dolore riguarda la perdita dell’India, il gioiello della corona, fonte inesauribile di ricchezze e di soldati, un subcontinente che vinse con la non-violenza di un omino che Winston Churchill disprezzava come “un avvocaticchio che si atteggia a fachiro”; ora sono costretti a mettersi in giinocchio davanti ad un giovane uomo, bello, ricchissimo di famiglia (il suo patrimonio personale è tre volte quello che fu di Elisabetta), educato a Oxford, che di gandhiano non ha proprio nulla e dichiara a viso aperto, “amo il partito conservatore”, “amo questo paese”, “non sopporto chi parla male dell’imperialismo inglese”.

Nessuno sa come andrà a finire, ma le “dramatis personae” sono quelle di una tragedia shakespeariana.
E d’altra parte i grandi scrittori indiani scrivono in lingua inglese. Oggi si ripensa a Salman Rushdie (auguri!), indiano musulmano e ai suoi “figli della mezzanotte”, ad Amitav Gosh con la sua trilogia sulla guerra dell’oppio, ad Arundhati Roy e al suo "dio delle piccole cose”. Se poi cercate una storia affascinante di come cominciarono le cose tra Londra e l’India, il libro che fa per voi lo ha scritto tre anni fa William Dalrymple e si chiama Anarchia (Adelphi, qui la recensione di Francesco Filippi per Passato di letture); la storia di come la piccola e sconosciuta Compagnia delle Indie, fondata a metà del 1600 con trenta impiegati compì la più grande rapina che la storia del colonialismo ricordi.    

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