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Henry James, stratega della reticenza

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni, 2023, diplomata al Liceo artistico Volta di Pavia

Illustrazione digitale di Asia Cipolloni, 2023, diplomata al Liceo artistico Volta di Pavia

Non c’è autore, nato d’aprile, meno primaverile di Henry James. A meno che, alla maniera di Eliot, ci rassegniamo a una primavera crudele. Che si entri nell’opera sua dalla porta dei racconti o dei romanzi si finisce per accedere a quella crudeltà, o meglio a una crudele forma di reticenza. Malgrado i suoi multiformi teatri narrativi, la speranza di una possibile trasparenza che in essa ci guida finiscono per polverizzare in una nebbia ostinata, in una luce ostile alle forme che illumina.

James ha vissuto all’interno di un mondo esposto a trasformazioni epocali (l’essere stato a cavallo fra Otto e Novecento basterebbe per vederlo patire le vertigini del tempo) e ci è stato con una fermezza che solo le scosse psichiche della scrittura riescono a tradire. Siamo di fronte a uno scrittore che legge il gap fra il nuovo continente (in cui nasce e si forma) e il vecchio, che racconta lo scatto di indipendenza della donna americana e, insieme, il suo torvo fallimento, che cerca nelle ombre profonde dello spirito il brivido di una gestualità congelata e le nevrotiche infezioni di fantasmi. Siamo di fronte a uno scrittore prolifico.

Prolificità e reticenza possono convivere? Nel suo caso sì.

Henry James sembra quasi non esistere al di fuori della scrittura e persino la sua fisicità – imponente, quasi monumentale – è parte della contraddizione che emerge come un rigurgito dentro il labirinto delle sue storie, e dei suoi personaggi. Piuttosto che il rimosso (della sessualità, ad esempio, sulla quale tanta parte della critica si è esercitata) è il non detto a prevalere. La sua deliberata funzionalità strutturale. Ed è proprio il non detto il nodo scorsoio della fascinazione che l’opera sua produce, sia quando la tessitura dell’accadere è squisitamente gioco di caratteri (Le spoglie di Poyton, La fonte sacra, Gli ambasciatori) sia quando il mistero è esibito strategicamente (Il carteggio Aspern, L’altare dei morti, Giro di vite, il sublime La bestia nella giungla).

Henry James, che nasce il 15 aprile del 1843, si avvicina al romanzo quando la narrativa del diciannovesimo secolo – in Europa ma non meno negli Stati Uniti – è al culmine, e segnatamente al culmine di una attenzione per la realtà che coincide con una straordinaria capacità di leggere il tempo del mondo e di lasciarsi contaminare da una società in pieno sviluppo. Non è un caso che gli autori-chiave di James siano Balzac, Nathaniel Hawthorne, Ivan Turgenev

Nell’80 esce Piazza Washington e nell’81 Ritratto di signora, due storie di donne che lasciano il segno e ben si iscrivono dentro il romanzo ottocentesco. Eppure, già in questa prima fase che lo vede conquistare il favore del pubblico lo vediamo lavorare su due figure femminili “incompiute”, la remissiva Catherine Sloper destinata a conquistarsi la dignità di esistere attraverso la rinuncia ai sentimenti, e la intraprendente Isabel Archer che dissipa la sua indipendenza (anche economica) obbedendo a una fedeltà senza contenuto nei confronti di un coniuge che è esteta freddo e rapace. Rinuncia, dissipazione, reticenza. Sono le sue donne che, per quanto illuminate da un’anima grande, devono chiudersi in una sorta di deliberata sconfitta. 

Una delle porte dalla quale si accede a Henry James sono le donne, quelle che presiedono alla sua formazione e al destarsi predatorio della sua immaginazione: la dolcissima madre Mary Robertson Walsh, la sorella Alice, scrittrice ella stessa, ma soprattutto la ribelle e indomita cugina Minnie Temple, morta di tubercolosi a 24 anni. Da quel mondo che da New York si sposta alle accoglienti residenze (ampi portici, verande, giardino, l’oceano non lontano) di Albany e Newport, James assorbe la vivacità delle conversazioni, le aperture prospettiche verso la cultura europea, e soprattutto quel prezioso fluire di saggezze – ma anche di inquietudini – femminili, che filtra costantemente nelle sue narrazioni.

Minnie Temple torna in Daisy Miller (1878), in Ritratto di signora (1881) e soprattutto in Le ali della colomba (1902) come Millie Theale.  Le donne – quasi sensori della scacchiera morale del nuovo secolo, ma anche doppi di squisita, esercitata sensibilità – tornano nei grandi romanzi della cosiddetta major phase (dal 1902 al 1904, La fonte sacra, The Ambassadors, La coppa d’oro) e soprattutto in alcuni racconti o romanzi brevi per i quali Henry James è, a ragione, ritenuto imprescindibile lettore dell’ambiguità, come Giro di vite e La bestia nella giungla. Henry James ci ha insegnato (e ci insegna tuttora) a stare sull’orlo degli abissi, a guardare nel vuoto attraverso la pienezza della vita sociale, a restare impassibili davanti alle forme discrete del male, drammaticamente protetti da ciò che non si può dire.

Gli imperdibili di Henry James

Il giro di vite

Di Henry James | Feltrinelli, 2017

Ritratto di signora

Di Henry James | Feltrinelli, 2013

Le bostoniane

Di Henry James | Feltrinelli, 2021

Il mestiere di scrivere

Di Henry James | Ibis, 2006

In viaggio

Di Henry James | Bompiani, 2017

Indignazione

Di Henry James | Fazi, 2015

Il riflettore

Di Henry James | Elliot, 2022

Le vite private

Di Henry James | Corrimano, 2021

La cifra nel tappeto

Di Henry James | Elliot, 2022

Principessa Casamassima

Di Henry James | Garzanti, 2012

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Scrittore statunitense di grande finezza psicologica e prolificità, considerato un vero ponte fra Vecchio e Nuovo Mondo. Figlio del pensatore religioso Henry e fratello del filosofo William, vive fin da bambino in un'atmosfera culturale fervida di stimoli. Seguendo la famiglia nei numerosi viaggi oltreoceano, viene contagiato da quel "virus europeo" che rappresenta la scintilla iniziale del suo percorso creativo. Dopo aver frequentato scuole europee a Ginevra, Parigi, Bonn, al ritorno negli Stati Unit nel 1862, si iscrive alla facoltà di Legge dell'Università di Harvard per un solo anno. Nel 1869 riparte per l'Europa. Da questo viaggio e da quello successivo del 1872-74 deriva il materiale che sarebbe confluito in "Un pellegrino appassionato e altri racconti" (1875) e in "Schizzi transatlantici" (1875). Dopo un lungo soggiorno a Parigi che gli consente di incontrare Flaubert, Maupassant, Zola e Turgenev, si trasferisce a Londra dove vive quasi ininterrottamente fino al 1896. Nel 1876 pubblica "Roderick Hudson". Questa prima parte della sua carriera letteraria è incentrata sul rapporto Europa-America. Anche nei romanzi successivi, "L'americano" (1877) e "Gli europei" (1878), continua l'esplorazione del contrasto tra le due culture. Tra le sue opere successive: "Daisy Miller" (1879), romanzo breve di grande popolarità già al tempo, e "Ritratto di signora" (1879), considerato il suo capolavoro assoluto.Tra le opere del secondo periodo jamesiano: "I bostoniani" (1886), "Una vita londinese" (1888), "La principessa Casamassima".Tra il 1890 e il 1895 tentò l'esperienza del teatro che si rivela un drammatico insuccesso con la rappresentazione di "Guy Domville" ma che lasciò tracce profonde nelle opere successive: "Giro di vite" (1898), "L'età ingrata" (1899), "La fonte sacra" (1901). James affina la tecnica del "punto di vista" e della progressione "scenica" delle sequenze narrative.Alla terza fase della sua lunga carriera di scrittore appartengono i romanzi: "Le ali della colomba" (1902), "Gli ambasciatori" (1903), "La coppa d'oro" (1904) in cui torna il tema "internazionale" delle opere giovanili, declinato però all'interno di vicende evanescenti e complesse che sembrano trascenderlo. Nel 1904 torna in America dopo la lunga assenza, ma al suo arrivo trova un paese che non riconosce più (il tema viene affrontato nel libro-reportage "La scena americana, del 1907). Lascia così il paese natale e si sposta in Inghilterra, dove ottiene la cittadinanza poco prima della sua morte, nel 1915.Da: "Enciclopedia della Letteratura", Garzanti, 2003

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