La redazione segnala

Italo Calvino e la rottura con il PCI

Illustrazione tratta da "Lo scoiattolo sulla Senna. L'avventura di Calvino a Parigi" di  Fabio Gambaro, Feltrinelli 2023

Illustrazione tratta da "Lo scoiattolo sulla Senna. L'avventura di Calvino a Parigi" di Fabio Gambaro, Feltrinelli 2023

L’estate del 1957, torrida, frenetica, divisiva. Il paese è tutto un boom: l’”età dell’oro” del capitalismo industriale l’avrebbero chiamata gli storici. Ed è l’anno in cui, poco prima del lancio dello Sputnik – vittoria sovietica nella soft war bipolare – Nikita Chruščëv, segretario del Pcus dalla carica comunicativa popolaresca, con il noto Rapporto avvia la demolizione della figura di Stalin. La destalinizzazione è un trauma a tutti gli effetti e, come tale, scatena i suoi processi di rimozione.

Ma è tra i paesi satelliti che rappresenta uno scarto prima inimmaginabile: la fessura da squarciare per allentare l’egemonia della Madre Russia. In Ungheria, Imre Nagy guida un governo in agitazione e protesta, che si spinge fino ad annunciare l’uscita dal Patto di Varsavia: in risposta, il segretario del Partito Comunista János Kádár invoca l’intervento dell’Armata Rossa che da lì a poco non tarda ad arrivare con i Reparti corazzati. L’evento traumatico da cui non si può tornare indietro.

Dall’altra parte dell’Europa fisica, Italo Calvino vive i suoi trent’anni da scrittore severo e rispettato. Ha appena conosciuto Elsa de’ Giorgi, che stima come autrice e ama come donna di spirito con un volto di rara perfezione. Sta lavorando al Barone rampante e alle Fiabe italiane, e, usando le parole di Elsa riportate da Sandra Petrignani, c’è «molta infanzia in tutto questo, un’adolescenza inconsumata». Lo scrittore di Santiago ha atteggiamenti contraddittori: da un lato sente un terrore infantile di essere snidato nella sua fragile timidezza, dall’altro rifiuta qualsiasi pretesa di serietà. La stessa attitudine cauta la mantiene nei confronti del Partito Comunista, divincolandosi tra una narrazione fortemente strutturata e la sua spinta creativa “felice” verso l’autonomia artistica.

Il barone rampante
Il barone rampante Di Italo Calvino;

Un ragazzo sale su di un albero, si arrampica tra i rami, passa da una pianta all'altra, decide che non scenderà più. L'Autore di questo libro non ha fatto che sviluppare questa semplice immagine e portarla alle estreme conseguenze: il protagonista trascorre l'intera vita sugli alberi, una vita tutt'altro che monotona, anzi piena d'avventure.

In generale, per gli intellettuali del tempo l’adesione al marxismo fu un credo assoluto che li spinse a considerarsi “ingegneri dell’animo umano”, un’impresa a cui devolvere ogni energia spirituale: in quanto missione di fede, il suo abbandono in reazione ai fatti inequivocabili della storia fu un processo durissimo. Per molti, l’arte era stato uno strumento ideo-mitologico per difendere anche la propria identità, costruita attorno a strutture precise di ricezione dei fatti. Di fronte alla mostruosità del socialismo reale, gli intellettuali reagirono in due modi: con la rimozione, scrisse Edgar Morin vent’anni dopo i fatti di Budapest, oppure – come fece Calvino – con la letteratura, come spazio immaginifico che non aveva pretese di realtà, al contrario della narrazione ideologica.

Ma quando arriva il racconto dei fatti di Budapest, e comincia a circolare il Manifesto dei 101 firmato dagli intellettuali per osteggiare Togliatti e il suo posizionamento a favore dell’URSS, la rottura si consuma definitivamente.

Il 7 agosto 1957, Italo Calvino comunica all’Unità il motivo delle proprie dimissioni che definisce «ponderate e dolorose». Aggiunge: «la via seguita dal Pci, attenuando i propositi innovatori in un sostanziale conservatorismo, m’è apparsa come la rinuncia a una grande occasione storica [...] Non ho mai creduto (neanche nel primo zelo del neofita) che la letteratura fosse quella triste cosa che molti nel Partito predicavano e proprio la povertà della letteratura ufficiale del comunismo mi è stata di sprone nel cercare di dare al mio lavoro di scrittore il segno della felicità creativa».

Con quella lettera, Calvino stava compiendo uno strappo che era cominciato molto prima, nell’interpretare l’arte come mormorio, come “rumore del tempo” che in quanto tale non appartiene a nessun popolo e a nessuna ideologia. Neanche per un istante aveva smesso di chiedersi in cosa consistesse il fatto letterario e quale fosse il perimetro di libertà concessa a un’arte “transpolitica”.  Esordendo con i racconti «neorealistici» si era dedicato al popolo e ai partigiani, ma dalla brutalità del realismo aveva provato a svincolarsi con un respiro fantastico.

Come il Visconte de I nostri antenati, anche Calvino si sentiva nato in un’epoca di “dimidiamento”: cresciuto dentro un dato storico inequivocabile, dentro una costruzione fatta da altri per lui, cercava il suo posto da individuo e da autore, il suo ruolo nel movimento storico, e così si pensava Barone rampante. Stava fuggendo dai rapporti umani, dalla società, dalla politica? Dimettersi dal Pci significava questo? Al contrario, significava immergersi fuori dal tempo per ritrovare autenticità: il dettame dottrinale lo faceva sentire negato nella propria individualità, «ridotto a una somma astratta di comportamenti prestabiliti». Ma il 1957, con i consigli operai smembrati nel silenzio internazionale, Calvino non poté non guardarlo perché era sempre stato uno scrutatore, e aveva capito quanto, fino a quel momento, era stato «distante, lui come tutti, dal vivere come va vissuto quello che cercava di vivere».

Immaginatevi un Calvino oggi, con i tratti del viso scomposti mentre con fervore scrive la prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno, e si rifiuta categoricamente di creare l’eroe positivo che l’ideologia gli chiede. E immaginatevi un politico oggi, con i tratti del viso completamente distesi perché crede di non avere neanche bisogno di un eroe positivo.  

Il sentiero dei nidi di ragno
Il sentiero dei nidi di ragno Di Italo Calvino;

Questo romanzo è il primo che ho scritto; quasi posso dire la prima cosa che ho scritto, se si eccettuano pochi racconti. Che impressione mi fa, a riprenderlo in mano adesso? Più che come un'opera mia lo leggo come un libro nato anonimamente dal clima generale d'un'epoca, da una tensione morale, da un gusto letterario che era quello in cui la nostra generazione si riconosceva, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. (Italo Calvino)

Approfondire con Calvino e altri libri

Il barone rampante

Di Italo Calvino | Mondadori, 2022

Fiabe italiane

Di Italo Calvino | Mondadori, 2023

Il sentiero dei nidi di ragno

Di Italo Calvino | Mondadori, 2022

Romanzi e racconti. Vol. 1

Di Italo Calvino | Mondadori, 2022

Addio a Roma

Di Sandra Petrignani | BEAT, 2021

Il rumore del tempo

Di Julian Barnes | Einaudi, 2017

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