«Dall'apoteosi della sicurezza all'epidemia dell'insicurezza» recita il sottotitolo, ed è la tesi centrale di tutto il libro.
Alessandro Colombo riprende il laboratorio di indagine già avviato con Guerra civile e ordine politico (Laterza 2021) per riconsiderare il lungo trentennio inaugurato con la fine della guerra fredda e il crollo del muro di Berlino. In quel libro Colombo insisteva sulla non episodicità della guerra civile, anzi sulla sua fondatezza e centralità nella storia contemporanea, in particolare in quella europea.
La guerra in Ucraina e le crescenti tensioni internazionali hanno messo in luce il fallimento del mondo pacifico e cooperativo che si era progettato dopo il crollo del muro di Berlino: un'analisi lucida e spietata sul nostro presente, incapace di concepire un nuovo futuro.
Ora Il governo mondiale dell’emergenza insiste con quell’operazione di salutare disincanto, e si concentra sull’ondata di stupore che ha suscitato lo scoppio della guerra in Ucraina per tornare a riflettere sui molti modi con cui ci siamo raccontati la realtà quotidiana a partire dal 1990.
Se è vero, come ha sottolineato Lucio Caracciolo nel suo La pace è finita, che con il 24 febbraio si è chiuso un trentennio di illusone di “fine della storia” (per riprendere la formula e l’immagine suscitate da Francis Fukuyama), resta poi il problema di capire non solo quale futuro ci prospetta il presente, ma anche di che cosa sia figlio questo presente.
Alessandro Colombo ricostruisce e dimostra ampiamente due cose in questo suo libro. La prima: il nostro presente è figlio di una bufala, ovvero che abbiamo predicato non solo la fine della storia, ma soprattutto la vocazione umanitaria del progetto che doveva seguire alla fine della guerra fredda. La storia non è finita e la vocazione umanitaria si è perduta. Con gli anni 2000, finite le guerre (ex Jugoslavia, Somalia, Kosovo) si apre «un secolo di imponenti conflitti di legittimità», scrive Colombo. La cronaca gli dà ragione.
La seconda: il crollo del muro era avvenuto sotto il segno dell’ottimismo. Trent’anni dopo siamo immersi nel pessimismo: siamo ossessionati dalla ricerca di sicurezza, mentre l’unica cosa certa è l’insicurezza.
La cosa più drammatica, conclude Colombo, è che ci rifiutiamo persino di ammetterlo. L’insicurezza infatti, non solo c’è ed è dominante, ma è in crescita. L’Occidente che aveva raccontato sé stesso come il portatore del nuovo tempo, trent’anni dopo, è a misurare la propria coabitazione con altre nuove potenze. L’Europa che pensava di parlare al futuro è all’angolo. L’ipotesi europeista archiviata per sempre.
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