Anniversari e Ricorrenze

Giorgio Manganelli, un ricordo a 100 anni dalla nascita

Illustrazione digitale di Cristian Bozzi, 2022, studente del Liceo A. Volta di Pavia

Illustrazione digitale di Cristian Bozzi, 2022, studente del Liceo A. Volta di Pavia

C’era una volta…
– Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato.
C’era una volta un pezzo di legno.

Carlo Collodi

Ma abbiamo sbagliato ancora, lettori. C’era una volta Giorgio Manganelli.

La sua vita inizia il 15 novembre 1922, in via Ruggero Boscovich numero 4 che, se cercate su Google Maps, non c’è. Ed è così che la vita di chi ha amato, e studiato, le cose che non esistono inizia proprio in una casa che non esiste.

Ho conosciuto Giorgio Manganelli all’università e l’ho fatto nel modo più classico in cui si conosce una persona: leggendo la sua passione.

È infatti tra i banchi di un’aula anziana per tutta la tecnologia che c’era dentro, che ho letto per la prima volta Pinocchio. Un libro parallelo. E da quella storia enigmatica, a tratti euforica, ha inizio tutto ciò che so di Manganelli.

Pietro Citati lo definì una volta un “malinconico tapiro”, per quel suo aspetto poco antropomorfo, la sua tendenza alla pinguedine e con gli occhi allarmati, come se fosse circondato da pericoli.

Ma forse non è così assurdo pensare a Manganelli come a un animale. Uno scrittore che, per scavare nei meandri della letteratura e della critica, si fa lombrico, talpa, un Gregor Samsa reale.

Illustrazione digitale di Giada Ciello, 2022, studentessa del Liceo A. Volta di Pavia

Una volta, un nostro amico comune disse che Manganelli non era antropomorfo; e lui si divertì molto

Pietro Citati

Eppure, se il primo incontro tra me e Manganelli è stato folgorante, così non è stato per Citati che all’inizio non aveva saputo leggere il suo talento dietro alla veste di professore.

E invece, quel malinconico tapiro inizia la sua immersione nella letteratura, in quel gioco geometrico di ripetizioni e combinazioni, nel 1964, con l’Hilarotragoedia.  

Una gestazione complessa, come d’altronde la storia delle sue edizioni. Prima un quaderno di appunti, poi due edizioni per Feltrinelli e, infine, la ristampa per Adelphi. Una vita a scrivere lo stesso libro.

E Manganelli esordisce così, a quarant’anni, con un’autobiografia, il suo personale viaggio negli inferi per la natura discenditiva dell’uomo. Un’opera a tratti sorprendente che rivela un’origine psicologica, l’origine di quella “tragedia” della malattia mentale, della follia che l’autore stesso aveva conosciuto con Alda Merini, tra il 1947 e il 1949 (Per il Manganelli poeta, potete curiosare nella nostra recensione).

Inizia la sua strada da recensore e critico. Collabora con «Il Giorno», «L’Illustrazione italiana». Scrive recensioni di Salinger, Beckett e Bellow. Il suo è un cammino fatto di riviste e di Kulturkritik. Sono gli anni Sessanta, quelli dei foglietti di viaggio e della corrispondenza dall’India.

Un Manganelli viaggiatore, un Manganelli traduttore, di Poe, soprattutto. Così inizia a crearsi la figura dell’uomo e del critico nato a Milano per caso e romano d’adozione. Uno spirito inquieto, in viaggio verso l’India, la Malesia, la Cina. Affascinato dalle cose che non esistono e da questi luoghi della possibilità, realtà dove si può immaginare.

Ma i viaggi non sono per lui solo piacere. L’India rappresenterà, infatti, «una serie di diapositive dell’orrido», un mondo in cui è spinto per la sua angoscia esistenziale.

Non credetegli quando dicono che lo scrittore deve adoperare una lingua che tutti devono capire. Non la deve capire nessuno! Figurarsi. Devono leggerla, rileggerla; sennò quale sarebbe la polivalenza linguistica dello scrittore nel tempo?

Giorgio Manganelli - Jung e la letteratura

Gli anni passano e Manganelli si fa notare da altri autori. Calvino, dopo Nuovo commento, colpito dal fatto che la sua narrazione fosse fatta da metafore e linguaggio. E fu sempre Calvino ad apprezzare Agli dei ulteriori, del 1972, una raccolta di racconti in cui il nulla, e l’angoscia che porta con sé, sono i protagonisti.

Manganelli fu anche l’uomo che, scontrandosi con la realtà di tutti i giorni, osservando il nulla che la abitava, riuscì a rendere questo niente letteratura. Sono questi gli anni degli articoli raccolti poi nell’opera Lunario dell’orfano sannita (1973). È tra le pagine di questo saggio che si racconta l’incontro, memorabile e micidiale, tra la scrittura di Manganelli e la realtà di tutti i giorni. Il racconto dello sguardo di un critico e letterario, un essere espulso dal quotidiano che può osservare e parlarne in modo sarcastico.

Sarcasmo, osservazioni pungenti, spunti che si trasformano in un linguaggio degno di una riflessione. E, data la qualità, di pubblicazione. È nel 1989, infatti, che questo incontro con il reale diventa Improvvisi per macchina da scrivere.

È uno sguardo dissacrante quello di Manganelli, uno sguardo che indaga la realtà e la rende ironia. Uno sguardo grazie al quale anche la morte diventa ridicola, grottesca, picaresca.

E sono le avventure picaresche di un pezzo di legno, diventato burattino, a incantare Manganelli. Stiamo parlando di Pinocchio, di Collodi, e di Pinocchio. Un libro parallelo.

Uscito nel 1977, il saggio che mi ha fatto conoscere Manganelli, quel pomeriggio in aula C, è un cammino silenzioso accanto a uno dei libri italiani per eccellenza. È un percorso fianco a fianco, che sa far luce sul testo di Collodi, senza mai invaderlo e stravolgerlo. Il Pinocchio parallelo di Manganelli fa diventare il burattino ancora più allegorico. Grazie a Manganelli Pinocchio cresce e diventa adulto.

Giochi verbali, esercizi linguistici, ma soprattutto il riconoscersi in quel protagonista irriverente, fuggitivo e nella sua storia che porta con sé un’angoscia esistenziale, la stessa dello scrittore. Il Pinocchio parallelo è un attraversamento della morte, quella stessa morte che Manganelli guardava con ironia, una maschera fatta di lingua, giochi, errori ed equivoci.

Il malinconico tapiro, però, fu conosciuto al grande pubblico grazie a Centuria, cento romanzi fiume, microstorie che gli fecero vincere il Premio Viareggio.

Illustrazione digitale di Giulia Orlandi, 2022, studentessa del Liceo A. Volta di Pavia

La pagina comincia da quella esigua superficie in bianco e nero, ma si dilunga e si dilata e sprofonda, ed anche emerge e fa bitorzoli, e cola fuori dai margini

Giorgio Manganelli - Pinocchio. Un libro parallelo

Di Manganelli si potrebbe scrivere ancora molto altro, ma in tanti l’hanno già fatto meglio prima di me. Il perché l’autore che amò così tanto Pinocchio mi abbia così segnata, forse, ancora me lo chiedo. Dopo anni di lettura delle sue opere, penso che il motivo sia il suo amore, passione, paura, terrore, come vogliamo chiamarlo, dell’angoscia esistenziale.  

E quando si è stregati dall’angoscia, questa non ci abbandona mai. E così fu nell’ultimo anno della vita di Manganelli che aveva l’impressione che le pareti del tempo quasi lo schiacciassero. Il tempo, una malattia che lo lasciò preda dei demoni. Il suo mondo, nell’ultimo periodo, si ridusse ai libri, gli unici a dargli pace.

L'errore fu nascere sotto lo Scorpione
o in opposizione di pianeti infausti:
o forse l'errore fu nascere e nient'altro

Giorgio Manganelli

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Giorgio Manganelli è stato uno scrittore e saggista italiano. Fece parte del Gruppo 63. La sua vita inizia il 15 novembre 1922, in via Ruggero Boscovich numero 4 a Milano che, se cercate su Google Maps, non c’è. Ed è così che la vita di chi ha amato, e studiato, le cose che non esistono inizia proprio in una casa che non esiste.Vissuto ai suoi tempi per lo più come un outsider, un trickster se non proprio un «teppista», oggi è considerato un classico della nostra letteratura. Collaborò al "Corriere della sera" e ad altri quotidiani, raccogliendo poi gli articoli pubblicati nel volume "Improvvisi per macchina da scrivere" (1989). Autore di saggi come "La letteratura come menzogna" (1967), "Angosce di stile" (1981), "Laboriose inezie" (1986), ha scritto anche reportages come "La Cina e altri orienti" (1974). Nelle sue opere narrative, caratterizzate da una scrittura barocca, è rimasto fedele a un'immagine manieristica della letteratura, come costruzione artificiosa di un mondo surreale. Tra i titoli: "Hilarotragoedia" (1964), "Agli dei ulteriori" (1972), "Centuria" (1979, premio Viareggio), "Discorso dell'ombra e dello stemma" (1982), "Tutti gli errori" (1987), "Rumori o voci" (1987), "Encomio del tiranno" (1990). Postumi sono usciti: "La palude definitiva" ed "Esperimento con l'India" (1992) e "La notte" (1996).«Pietro Citati lo definì una volta un “malinconico tapiro”, per quel suo aspetto poco antropomorfo, la sua tendenza alla pinguedine e con gli occhi allarmati, come se fosse circondato da pericoli. Ma forse non è così assurdo pensare a Manganelli come a un animale. Uno scrittore che, per scavare nei meandri della letteratura e della critica, si fa lombrico, talpa, un Gregor Samsa reale.»

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